Don Marco Ceccarelli Commento V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Domenica 6 Aprile (DOMENICA – Viola)
V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Is 43,16-21   Sal 125   Fil 3,8-14   Gv 8,1-11

  • Testi di riferimento: Gen 19,26; Lv 20,10; Nm 5,17.23; Dt 17,6-7; 22,22-24; Sal 45,11; Pr 4,25;
    28,13; Qo 7.20; Is 1,16-18; 35,6-10; 42,9; 48,6; 64,6; 65,17; Ez 16,38.40; 18,23.32; 33,11; Mi 7,19;
    Mt 7,1-5; 16,1; 19,3; 22,18.35; Lc 1,48; 5,10.39; 9,62; 11,54; 12,14; Gv 3,17-19; 5,14; 12,47-48;
    Rm 1,4; 2,1-3.22; 3,9-10.23; 5,12.20-21; 6,5; 8,1-3.34; 11,32; 1Cor 5,12; 9,24-26; 10,9; 2Cor 1,5;
    5,16-17; Ef 4,22-24; 1Tm 1,15; Gc 4,12; 1Pt 4,13; 2Pt 3,9; 1Gv 1,8-10; Ap 2,21-22; 21,5
  1. Conversione e novità. Un aspetto importante della Pasqua è quello della novità che in essa ha
    luogo. Dio opera il passaggio da uno stato ad un altro, da una situazione ad un’altra. Le letture di
    questa domenica hanno come denominatore comune questo tema. Ciò ha certamente ha che fare con
    quello della conversione che implica la “dimenticanza”, cioè il distacco dal passato, da quello che ci
    si lascia dietro. È la conversione che fa scattare il passaggio ad una realtà nuova, come nel caso di
    cui Paolo parla nella seconda lettura e dell’adultera nel Vangelo che è chiamata ora a non peccare
    più.
  2. Il Vangelo.
  • Il peccato. Come sempre quando abbiamo a che fare con Gv, anche il brano di questa settimana
    suscita varie domande e si presta a tanti spunti di analisi. Tuttavia, è utile andare subito al cuore
    dell’episodio. Questa donna colta in flagrante adulterio si trova nella condizione di quelle persone
    che secondo la legge mosaica (il nostro Antico Testamento, non dimentichiamolo!) dovevano essere
    condannate a morte a causa del loro peccato. Questo tipo di pena era giustificata con la necessità di
    «togliere il male di mezzo a te» (Dt 13,6; 17,7; 19,19; 22,21.24; 24,7). L’uccisione del peccatore
    non era un atto di vendetta. Si trattava di un “provvedimento” che partiva dalla consapevolezza, da
    un lato, che la causa del male è il peccato e che occorreva eliminarlo; e d’altro lato che il peccato
    era una realtà così “incarnata”, talmente radicata nel cuore dell’essere umano (cfr. Gen 8,21; Ger
    17,1) che non si vedeva altra possibilità di estirparlo se non eliminando il peccatore stesso. Per “togliere il male di mezzo a te” occorreva uccidere il peccatore. Certo, sarebbe stato auspicabile che ci
    fosse stato il modo di eliminare il male senza la persona, perché «Dio non si compiace della morte
    del peccatore, ma che si converta dalle sue vie e viva» (Ez 33,11). Ma la conversione del peccatore,
    cioè la possibilità che nel malvagio si realizzasse una sostanziale guarigione, un vero cambiamento
    di vita, sembrava in certi casi praticamente impossibile.
  • I testimoni.
  • Secondo Dt 17,7 i testimoni di un fatto che implica la pena di morte sono “i primi” che devono
    scagliare le pietre per lapidare il colpevole. Coloro sulla cui testimonianza viene messa a morte una
    persona si devono assumere la responsabilità di quella morte. Perché, nel caso in cui essi avessero
    testimoniato il falso, il sangue di quell’innocente sarebbe ricaduto su di loro. Si tratta di una responsabilità estremamente grave. Per i falsi testimoni era prevista la stessa pena di colui che essi accusavano. Al v. 7 del Vangelo odierno Gesù chiama dunque in causa questa norma; d’altro lato però invece di dire “testimone” dice «colui che è senza peccato» (v. 7).
  • In At 26,16ss. si dice che Paolo è stato costituito «testimone di quelle cose che ha visto»; egli deve
    annunciare ciò che ha sperimentato da parte di Dio, vale a dire il passaggio dalla cecità alla vista e
    la remissione dei peccati (At 26,18). Egli è diventato testimone davanti agli uomini di quello che è
    avvenuto in lui. Dunque il vero testimone è colui che guarda a se stesso e non all’altro, chi guarda ai
    propri peccati e non ai peccati dell’altro. È colui che ha capito che il male, quel male che si vorrebbe eliminare eliminando il malvagio, è dentro ciascuno di noi. Cosicché tutti siamo passibili di condanna (Rm 2,1-3) perché nessuno è senza peccato. Se si volesse applicare questo principio in maniera coerente occorrerebbe un nuovo diluvio che distruggesse la creazione corrotta per farne apparire una rinnovata. Ma Dio ha promesso che non avrebbe più distrutto la sua creazione a causa del
    peccato dell’uomo (Gen 8,21). Dio farà nuove tutte le cose, perché tutte le cose ne hanno bisogno. E
    la via per accogliere questo rinnovamento è appunto il riconoscimento di tale necessità.
  • La novità di Cristo.
  • «Neanch’io ti condanno» (v. 11). La frase non indica una rinuncia al giudizio; al contrario. Essa
    ha una grande solennità, come tutto il comportamento di Gesù nell’episodio. Il suo “chinarsi” (due
    volte) e “rialzarsi” (due volte), il suo scrivere per terra, e infine le parole finali presentano Gesù non
    solo come un grande sacerdote (vedi testi di riferimento), ma soprattutto come detentore della piena
    autorità divina. Gesù è il giudice divino. Apparentemente Gesù non aveva nessun titolo per condannare la donna e quindi la frase poteva suonare in un certo senso fuori luogo. Ma in realtà lui sta seduto nel tempio (v. 2) come Colui che abita in esso. Lui è il solo che può giudicare e condannare
    (Gc 4,12). Però Gesù non lo fa, perché non è venuto per condannare ma per salvare (Gv 3,17;
    12,47). Gesù non condanna non perché non ne abbia diritto. Gesù non condanna non perché “declassa” il peccato ad “azione indifferente”; non perché cambia lo status dell’adulterio; non perché
    riduce la gravità di quella azione; non perché si astiene dall’emettere giudizi. In realtà quella di
    Gesù è una vera e propria sentenza. È una sentenza di non condanna e allo stesso tempo di intimazione a non peccare più, perché peccando ci si autocondanna a una vita di perdizione (cfr. Gv 5,14).
    Gesù non declassa mai il male (anzi, semmai lo fa risaltare ulteriormente), ma lo vince cambiando il
    cuore dell’uomo. È il cambiamento della conversione.
  • «Da questo momento …» (apo tou nun). La frase sempre indica nei Vangeli (vedi testi di riferimento) il momento, il nun, della manifestazione di Dio che cambia radicalmente l’esistenza di una
    persona e il corso della sua vita. È il momento che segna la rottura con il passato e l’inizio di qualcosa di completamente nuovo (At 18,6; 2Cor 5,16). Il fattore determinante, quello che opera la svolta, è la presenza di Cristo (Lc 12,52); con lui inizia una nuova era (Lc 22,18.69). Anche per l’adultera l’incontro con Cristo segna un cambio radicale nella sua vita. Per lei, da questo momento, dal
    momento dell’incontro con Cristo, c’è la possibilità di una svolta irreversibile. Senza l’incontro con
    Cristo questa svolta sarebbe impossibile. In Cristo e nel suo perdono, nella sua rinuncia a condannare, c’è la manifestazione della potenza di Dio che cambia la vita di una persona. Non c’è incontro
    con Cristo che non determini un “da ora in poi”, una svolta radicale, una definitiva rottura con il
    passato, un punto di non ritorno, un prima e un dopo. Il perdono, la misericordia di Dio manifestata
    in Cristo non è una rinuncia al giudizio e alla condanna a livello puramente giuridico. È invece una
    forza che provoca un apo tou nun, un momento di svolta che concede la possibilità di essere liberati
    dalla condizione di peccato e permette di condurre una vita completamente nuova. «Le cose vecchie
    sono passate; ecco: ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).
  1. Le cose nuove.
  • La Pasqua di Cristo segna l’inizio delle “cose nuove” (prima lettura). Chi partecipa al mistero pasquale di Cristo è una nuova creazione (2Cor 5,17), fa già parte di quel regno di Dio che avrà il suo
    definitivo compimento alla fine dei tempi. I risorti con Cristo camminano in una vita nuova (Rm
    6,4), cioè partecipano della risurrezione di Cristo che permette loro di agire in un modo profondamente diverso da prima. La partecipazione a Cristo segna una svolta, un cambio profondo, un “momento a partire dal quale” (apo tou nun: 2Cor 5,16) comincia qualcosa di radicalmente nuovo.
  • La conversione segna la nascita di una realtà nuova che prende il posto di quella precedente. È il
    dimenticarsi di ciò che sta dietro e rimanere proteso verso ciò che sta davanti, senza voltarsi indietro
    (seconda lettura). La vera conversione rigetta ogni compromesso con la via precedente, perché non
    si può camminare contemporaneamente su due strade come fanno gli ipocriti (cfr. Sir 2,12). Non è
    mai definitiva finché non si è giunti alla meta. Rimangono le tentazioni e i combattimenti. E tuttavia
    la vera conversione segna una rottura radicale con un modo di vivere, con un modo di pensare. La
    vera conversione parte da un reale incontro con Cristo che cambia profondamente l’esistenza. Cristo
    diventa il centro di essa. Tutto il resto è percepito come secondario se non insignificante.
  • La novità di Cristo è la possibilità di eliminare il peccato senza il peccatore, perché lui stesso si è
    identificato con il peccato (2Cor 5,21; 1Pt 2,24), distruggendo il peccato nella sua carne, condannando il peccato senza il peccatore (Rm 8,3.34).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/