Domenica 27 Aprile (DOMENICA – Bianco)
II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO C)
At 5,12-16 Sal 117 Ap 1,9-11.12-13.17-19 Gv 20,19-31
C’è una beatitudine, nonostante tutto, per l’apostolo Tommaso, passato alla storia per essere stato il credente che ha bisogno di toccare: egli tocca e vede Gesù vivo con i segni della passione nel suo corpo, ma fa comunque un atto di fede nel credere di trovarsi di fronte al suo Signore e suo Dio, non un semplice uomo.
E c’è una beatitudine per noi uomini di oggi, che non abbiamo visto e (forse) abbiamo creduto. L’evangelista Giovanni opportunamente ci informa che tutto quello che di Gesù è stato scritto nel suo vangelo è una selezione tra tanti segni che egli fece “in presenza dei suoi discepoli”, perché possiamo credere che “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”. La nostra fede nasce quindi dall’ascolto delle testimonianze di coloro che hanno fatto un’esperienza diretta del Signore Gesù, dall’inizio della sua vita pubblica fino alle apparizioni dopo la resurrezione, passando per il calvario della passione; ma nasce anche dalla testimonianza di vita di coloro che professano la fede in Cristo Signore.
Quante volte dobbiamo constatare la verità di quanto disse Paolo VI nel 1975: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN, 41). Anche in questo caso si fa l’esperienza di un’umanità, con i suoi limiti e difetti, eppure tramite quella si fa esperienza della di un’altra umanità, quella di Cristo Signore, che aveva preannunciato di immedesimarsi in coloro che in suo nome avrebbero annunciato le sue parole di misericordia: “Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Gv 13,20).
