Domenica 4 Maggio (DOMENICA – Bianco)
III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 5,27-32.40-41 Sal 29 Ap 5,11-14 Gv 21,1-19
Il vangelo di questa domenica racconta un incontro con Gesù che
avviene sulla spiaggia, con il pane cotto sotto la cenere e il pesce
arrostito sulla brace. È la festa di Gesù che invita i discepoli a
mangiare, è la viva rappresentazione della verità della
risurrezione, è il luogo teologico della celebrazione della vita e dei
profondi legami con Gesù.
Quel profumo di pesce e del pane nell’aria frizzante del mattino
ha il potere di trasportarci nel mondo della bellezza, della condivisione e della felicità, dell’intimità e
della meraviglia, in un mondo in cui i segni della risurrezione sono percepibili da tutti e anche da noi.
E a chi rinfacciava a Gesù di essere un mangione e un beone, anche noi possiamo rispondere che, finché
nelle chiese si può leggere di questo banchetto all’alba sulle rive del lago, noi stiamo dalla parte del Risorto.
L’alba, è questa l’ora scelta da Gesù per manifestarsi ai discepoli. Infatti l’alba è l’istante che spegne la
notte. L’alba è fanciulla di breve vita, pronta a lasciare il posto all’aurora e poi al pieno giorno. Per Gesù
l’alba sembra essere il momento magico per rinnovare la fede dei discepoli. Quando le tenebre si
diradano così si potrebbe dissolvere l’oscurità dal loro cuore che non si accorge che l’Uomo che si
presenta sulla riva è proprio il Signore Gesù, il loro Maestro, morto e risorto.
L’emozione è di breve durata, ma intensa e capace di lasciare tracce indelebili, così quell’apparizione
potrebbe portare pace e sicurezza nel loro cuore ancora turbato dagli eventi del venerdì santo. Ma i
discepoli sono ancora uomini della notte che qui, nel vangelo di questa domenica, è simbolo di
incredulità, di delusione e di rimorso.
Usciti a pescare, “in quella notte non presero nulla”. Loro che di professione erano pescatori abituati al
duro lavoro delle barche e delle reti e all’attesa carica di tensione e di speranza. Dentro il loro stato
d’animo, mi sembra di dover cogliere l’esperienza di tanti di noi che faticano a vivere e s’impegnano e
combattono e non demordono ma, talora, senza grandi risultati nella notte che copre il fallimento e lo
rende perfino invisibile.
Ma poi l’alba invade il cielo e la terra. Dalla riva del lago giunge una parola conosciuta e amica, già
sentita tante volte, che chiede di affidarsi e poi, dietro quella parola, un volto finalmente amato che
rassicura e invita a mangiare insieme, non senza aver chiesto a ciascuno di condividere un po’ del pesce
da loro pescato.
Gesù di Nazaret si manifesta come colui che rivela il carattere conviviale della storia umana e della vita
di ogni uomo. Siamo risorti quando ognuno porta del suo al comune banchetto, così che nessuno
mangia a ufo o resta affamato. Solo l’amore condiviso libera dal buio della notte e fa comparire l’alba
della risurrezione.
È per questo che l’alba è il momento dell’utopia, la visione di quanto il mondo potrebbe essere
armonioso e dolce nella varietà e nel movimento, nella libera bellezza. L’alba è l’estasi, è stare fuori dalle
ore, dal calendario, dal giorno e dalla notte. In volo finalmente libero, al di sopra del tempo.
Trovare all’alba il tempo per lo spazio interiore, per essere presenti a quest’ora fondativa di tutte le ore.
L’alba ha i colori infiniti della pace e il canto non udibile del paradiso. Forse chi muore spera di vedere
l’alba, come chi nasce e rinasce vede la luce.
