Alessandro Cortesi Commento III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Domenica 4 Maggio (DOMENICA – Bianco)
III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 5,27-32.40-41   Sal 29   Ap 5,11-14   Gv 21,1-19

L’ultima pagina del IV vangelo raccoglie la narrazione di un incontro con Gesù all’alba. Un’alba che segue un triste tramonto, segnato da delusione, tristezza, dal pesare di cuori rattrappiti. In quel tramonto, sulla riva del lago i discepoli vivono il silenzio faticoso del crollo di ogni attesa dopo i giorni di Gerusalemme, dopo la vicenda tragica della croce, con tutto il buio di abbandono, solitudine, tradimento, ingiustizia e violenza che aveva recato insieme.

Le parole di Pietro ‘io vado a pescare’ interrompono l’imbarazzo dell’assenza di parole possibili, di uno stare insieme nell’incapacità di dare voce al dolore che covava nel cuore. “vado a pescare” è segnale di un ritorno che intende voltare pagina, o tornare indietro; Certamente un gesto per dimenticare una parentesi ormai da archiviare. E’ invito a lasciare ogni entusiasmo di speranza, apertura, bellezza che aveva cambiato la loro vita nel seguire il profeta Gesù di Galilea. Sono parole che rinviano alla ricerca ordinaria di superare lo scandalo della morte, il silenzio che reca con sé, la caduta di ogni aspettativa, nel fare quotidiano, nel porre attenzione alle esigenze immediate, nel distogliere la testa dai molti pensieri.

E in quella notte non presero nulla. Neppure quel ritorno alla fatica e al lavoro arreca sollievo a quei sette nominati uno per uno che erano stati legati da una storia di amicizia e di novità: un altro fallimento si somma alla pesantezza di vite deluse. E’ narrazione di un’esperienza di pesca andata a vuoto, in una notte buia. Ma è anche racconto di fallimenti e di delusioni più ampie, di tutta la comunità.

Ma quella notte così pesante e priva di ogni luce non rimane l’ultima parola: all’alba avviene qualcosa: “Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù”. Gesù stette, così come ‘stette’ in mezzo nel momento in cui donò la pace e lo Spirito. Gesù si dà ad incontrare con un esserci che non viene riconosciuto. Il chiarore dell’alba delinea un profilo sulla riva ma il non riconoscimento non è solo causato dalla foschia del primo mattino, ma dal suo darsi ad incontro in modo nuovo. Non si erano accorti, ma il suo stare già ha posto i segni dell’amicizia: un fuoco di brace con del pesce sopra e il pane. E la domanda: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?» Rinvia ad una attesa di condivisione e di incontro. E’ ancora proposta affidata, è parola di invito che non s’impone ma rimane sospesa nell’offrire spazio di accoglienza. «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivamo più a tirarla su. Quella parola detta dalla riva apre ad una abbondanza spropositata: una enorme quantità di pesci. A quel punto il discepolo che Gesù amava disse a Pietro ‘E’ il Signore’”. Lo chiama con il titolo del risorto. E’ il vivente ed è il medesimo del maestro con cui avevano condiviso il cammino e la tavola sulle strade della Galilea. La morte non è l’ultima parola. Il suo stare raduna ancora la comunità: “videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». la loro fatica è importante, è segno di un incontro che ricomincia, che si fa nuovo, e al centro sono i gesti del prendere e dare, in cui riconoscere quel dono di presenza e vicinanza: “prese il pane e lo diede loro, e così puro il pesce” gesti che parlano di amicizia, di condivisione, di far parte il pane e il pane, di stare vicino.

Alessandro Cortesi op

Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/