Domenica 4 Maggio (DOMENICA – Bianco)
III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 5,27-32.40-41 Sal 29 Ap 5,11-14 Gv 21,1-19
Pietro, il pescatore che doveva diventare nella parola di Gesù il “pescatore di uomini” (cf Mc 1,17) è tornato alla pesca tradizionale. I pesci. Tutto sembra essere rientrato nell’ordinarietà, ma non possiamo pensare che il cuore dei discepoli non custodisca profondamente la memoria di quegli anni intensi, di incontri, di parole ricevute dal maestro, di segni eclatanti, fino a quelle due apparizioni avvenute dopo la passione e morte, di cui abbiamo ascoltato domenica scorsa. Impossibile! La brace sotto la cenere non è ancora spenta, cioè: la speranza di una novità assoluta nell’apparente ritorno alla vita ordinaria è più che mai viva. Anche nel cuore di ogni uomo non si spegne mai quell’insopprimibile domanda di felicità, quella certezza più intuita che dimostrata che da qualche parte esista il senso tanto ricercato della propria esistenza.
La domanda di Gesù “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” vuole condurre quei discepoli a constatare la loro povertà, il loro vuoto, ma per preparare i loro cuori all’enorme stupore che seguirà alla pesca sulla forza della sua parola.
Bisognerebbe accettare le proprie sconfitte per vincere le battaglie decisive; saper riconoscere che le nostre ricerche di basso profilo di vita, di bellezza, di gioia non stanno conducendo a niente. Gesù accetta la passione, fa la sua pasqua e entra con la sua umanità nella gloria del Padre. Anche noi uomini, sulla barca di Pietro e i suoi discepoli – cioè la Chiesa – possiamo fare Pasqua, cioè ripartire dal riconoscimento che non abbiamo nulla di veramente nutriente per la nostra vita, e trovare nella parola viva di Gesù vivo la svolta per una pesca abbondante.
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