Don Paolo Zamengo”Cercare prati verdi”

Domenica 11 maggio -Quarta di Pasquata di Pasqua
IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 13,14.43-52   Sal 99   Ap 7,9.14-17   Gv 10,27-30

Il vangelo oggi è breve ma le sue parole sono
assolute. Gesù sta sfidando qualcuno perché mette a
confronto pastore e mercenari: al pastore importano
le pecore, gli altri se ne servono o le sfruttano per fini
personali.
Il gruppo dei Giudei sembrò non capire, ma poi fu
chiaro che i mercenari, cui faceva allusione Gesù, erano proprio loro. Tant’è, è scritto: “Di nuovo i
Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo”.
Ebbene quella del pastore è un’immagine che ci riguarda: noi pecore in rapporto a Gesù il grande
pastore delle anime e noi, sacerdoti pastori, in rapporto alle pecore affidateci. Papa Francesco ha
detto che tutti abbiamo vocazione di pastore, in qualsiasi ambito operiamo. Lo siamo e non solo
nelle strutture ecclesiastiche ma anche nella famiglia, nell’ambiente del lavoro, nella città,
nell’economia, nella politica, nel destino della terra.
Purtroppo l’immagine del pastore è impallidita. Anche se il termine è un po’ inflazionato nel
linguaggio ecclesiastico: si parla di pastori del popolo di Dio, di comunità e unità pastorali, di
consigli pastorali, di progetti pastorali, e potremmo continuare, non senza alla fine chiederci se
poi di tutto questo è rimasto qualcosa dell’anima del pastore, della volontà di Gesù. Noi siamo
mercenari o pastori?
Gesù racconta di pastori e di pecore per dire di una relazione che nasce dal vivere giorni e notti
sotto lo stesso cielo e vivere insieme che è come essere di casa, con una intimità, una familiarità,
una confidenza, una conoscenza, come se il pastore, delle sue pecore, sentisse persino il
bisbigliare dei loro sogni nella notte. Gesù parla così della relazione che sogna e vuole per noi: “Le
mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.
La gente avvertiva immediatamente la differenza tra Gesù e i loro capi del Tempio: si sentivano
guardati da Gesù come persone care al suo cuore. Mi viene spontaneo allora pensare alla nostra
relazione con Gesù pastore, a noi che ne ascoltiamo la voce, a noi che, al di là dei nostri tristi
smarrimenti, rincorriamo con nostalgia le orme dei suoi passi. E un brivido mi prende ascoltando
le sue promesse: “Nessuno le strapperà dalla mia mano”. La sua è una custodia assoluta.
Nemmeno la morte ci strapperà. In qualche misura la morte ci strapperà a qualcuno che pure
amiamo intensamente, ma dalle sue mani no. Sarebbe prezioso riandare con il cuore ai nostri
momenti, alla nostra vita, alle occasioni che ci hanno dato prova di essere nelle sue mani e ai
giorni in cui abbiamo sentito e vissuto la sua custodia tenera e assoluta. E parlando di Gesù come
pastore come non rivolgere a noi la domanda: “E io e tu e noi, siamo pastori o mercenari?
Ebbene la bellezza del mondo fiorisce quando ci facciamo pastori. La bruttezza del mondo esplode
quando viviamo da mercenari: non abbiamo a cuore la conoscenza reciproca perché forse non ci
sentiamo fratelli. Il gregge non è una massa indistinta: il vangelo parla di chiamarci per nome,
parla di ascoltare la voce.
Ascoltare è conoscere senza pregiudizi e classificazioni. E ignoriamo la preziosità del silenzio,
l’assenza delle parole per dare spazio agli sguardi. Dare vita come fa Gesù è dare entusiasmi, è
suscitare pensieri positivi, è infondere coraggio e non sfiducia, respiro e non asfissia, accendere
sogni e non illusioni, liberare la libertà e non chiudere porte, donare pace e non dare guerra.
È cercare prati verdi e primavere.