Don Marco Ceccarelli Commento V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Domenica 18 Maggio (DOMENICA – Bianco)
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 14,21-27   Sal 144   Ap 21,1-5   Gv 13,31-35

Testi di riferimento: Lv 19,18; 26,11-12; Is 43,18-19; 54,13; 65,17-19.22; Ger 31,31-34; Mt 24,35;
Gv 3,3-5; 7,33-34.39; 8,21; 12,23; 15,12-13.17; 17,1.5; At 4,32; Rm 6,4; 8,21; 12,10; 13,8; 1Cor
5,6-8; 2Cor 5,17; 11,2; Gal 6,15; Ef 4,22-25.32; 5,1-2; Col 2,20; 3,9-10.14; 1Ts 4,9; 1Pt 1,22; 1Gv
2,7-10; 3,1.14.23; 4,10-11.20-21; 2Gv 5; 2Pt 2,20-22; 3,10-14; Ap 7,15-17

  1. La novità della Pasqua. Se vogliamo trovare una tematica a questa domenica possiamo individuarla nella “novità” introdotta dalla Pasqua. La Pasqua «ci fa conoscere un nuovo inizio»
    (sant’Atanasio); è l’evento che dà origine ad una realtà nuova. La Pasqua ci annuncia che Dio ha la
    capacità di fare nuove tutte le cose (seconda lettura), anche contro ogni probabilità. Il mistero pasquale di Cristo – la sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo – ha inaugurato la nuova
    creazione (Ap 21,1). Da allora in poi gli uomini entrano a far parte di essa unendosi alla Pasqua di
    Cristo per mezzo del battesimo, dove rinascono a vita nuova. Chi è in Cristo, chi si è unito a lui per
    mezzo del battesimo, è una nuova creazione (2Cor 5,17), e ora cammina in una novità di vita (Rm
    6,4).
  2. Il comandamento nuovo (Gv 13,34).
  • Il brano di Vangelo odierno ci presenta il “comandamento nuovo” in connessione con la Pasqua di
    Gesù. La nuova alleanza instaurata dalla Pasqua di Cristo inaugura il comandamento nuovo. Chi ha
    ricevuto una nuova vita la manifesta in un nuovo stile di vita. L’agire morale del cristiano è una diretta conseguenza della nuova natura di figlio di Dio che ha ricevuto dal mistero pasquale di Cristo;
    e si esprime nell’amare come Cristo. Se uno è diventato cristiano, vive da cristiano; non il contrario.
    Agere sequitur esse; è il comportamento che fa seguito all’essere. È impossibile che un cane, per
    quanto addestramento possiamo fargli fare, cinguetti. È impossibile agire da cristiani se non si è ricevuta la nuova natura di figli di Dio. D’altro lato, l’essere diventati figli di Dio, il passaggio dalla
    morte alla vita al quale Cristo ci fa partecipare, si manifesta nella capacità di amare l’altro. Infatti
    «sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli, (mentre) chi non ama
    rimane nella morte» (1Gv 3,14). Il termine di riferimento è Cristo. La misura del suo amore è quello
    manifestato nel segno della lavanda dei piedi (l’episodio che precede il brano odierno di Vangelo:
    Gv 13,1ss.). I discepoli sono chiamati a fare come Cristo (Gv 13,15), cioè caricarsi dei peccati come
    ha fatto lui. L’amore vicendevole è il segno caratteristico dei discepoli di Cristo. Ciò che rende discepoli di Cristo è il seguire lui, cioè l’imitazione di lui. Cristo dirà a Pietro, subito dopo il brano
    odierno, che non può seguirlo ora, ma lo farà più tardi. Questo perché il figlio dell’uomo deve essere glorificato. A partire dalla glorificazione di Cristo diventa disponibile lo Spirito Santo (cfr. Gv
    7,39) che rende possibile l’imitazione di Cristo (cfr. Gv 21,19).
  • Il comandamento dell’amore, che non è nuovo nel suo principio (1Gv 2,7), può sembrare quasi
    banale e scontato, ma non lo è per niente. Al contrario: l’amore è scandaloso. Per quanto il termine
    “amore” sia usato in tutte le salse, resta fermo il fatto che molto spesso il punto di riferimento spontaneo dei nostri rapporti umani e sociali non è affatto l’amore, ma piuttosto la violenza, in tante sue
    forme. Sappiamo bene che per ottenere qualcosa è più facile ed efficace la violenza o la prepotenza.
    Abbiamo tutti avuto modo di sperimentare che in momenti in cui siamo stati gentili e disponibili
    hanno abusato di noi, hanno approfittato di quella “debolezza” insita in un atteggiamento benevolo.
    Chi ama sta in una posizione di debolezza e molto spesso ci si approfitta di essa. Per questo molto
    presto nella vita si impara che è più conveniente non essere deboli, non mostrarsi caritatevoli.
  • L’amore che ci ha mostrato Cristo è ancora più scandaloso, ben diverso dall’amore che presenta il mondo. Essere cristiano significa rinunciare alla violenza in tutte le sue forme. Uno può pensare, e non a torto, che in questo modo il cristianesimo non può reggere. Infatti, anche se è vero che in alcune zone i cristiani sono quasi spariti proprio a causa della violenza contro di loro e del loro rifiuto
    di usare violenza, il miracolo è che invece il cristianesimo sopravvive da duemila anni senza fare
    ricorso alla violenza. Desiderare la vita nuova di Cristo, desiderare lo Spirito Santo, significa desiderare di vivere in questo modo, sapendo che ciò implica subire il sopruso, l’ingiustizia, la violenza,
    la sopraffazione, la negazione dei propri diritti. Il problema è che forse non siamo del tutto convinti
    e disposti a rinunciare ai nostri diritti. Eppure Cristo ha rinunciato ai suoi diritti per amarci e per
    salvarci. Credere in Cristo significa credere che questo amore che lui ci ha mostrato e che ci ha
    chiesto di seguire è la verità. L’amore di Cristo – l’amore che ha avuto per il Padre e per gli uomini
    – è ciò che lo ha condotto a subire la croce. Questa è la misura dell’amore che salva. Ed è la manifestazione più luminosa del volto di Dio. Con l’avvento delle “cose nuove” il santuario di Dio in
    mezzo agli uomini è costituito dalla Gerusalemme celeste (seconda lettura), dalla Chiesa, dalla comunità dei discepoli che si amano come ha amato Cristo.
  • La difficoltà nel realizzare il comandamento nuovo non annulla la sua validità. Anche se rimane la
    libertà personale e quella debolezza della condizione umana con cui dobbiamo fare i conti, sappiamo tuttavia che è quello il fondamento, la verità, l’essenza e il senso dell’esistenza della Chiesa.
    Ogni giorno siamo chiamati a conformarci a questa novità perché essa non è realizzata una volta per
    sempre. Una volta ottenuta occorre non perderla, sapendo che si può tornare indietro e la nostra
    condizione diventare peggiore di quella precedente (2Pt 2,20-22). Il passaggio dalla realtà vecchia a
    quella nuova non è automatico, né magico. Occorre un processo di trasformazione, di cambiamento
    di mentalità, accompagnato dalla grazia, dall’illuminazione battesimale (1Gv 2,8), dalla fede e dalle
    opere. E soprattutto occorre la rinuncia alle cose vecchie.
  1. Il lievito vecchio. Perché possa apparire il nuovo deve prima scomparire il vecchio. La nuova
    creazione che Dio ha promesso deve essere preceduta dal disfacimento della vecchia creazione, così
    come l’uomo nuovo, per poter nascere, deve trovare morto l’uomo vecchio (Rm 6,4-6; Ef 4,22; Col
    3,9). Questa idea è espressa nella liturgia pasquale ebraica con il rito della rimozione e distruzione
    di tutto ciò che è lievitato (cfr. Es 12,15.19-20). Il lievitato è simbolo di ciò che è vecchio, e che deve essere eliminato affinché il Signore nella Pasqua possa realizzare un’opera nuova, di cui gli azzimi sono un segno. La stessa cosa devono fare i cristiani: «Togliete di mezzo il lievito vecchio per
    diventare pasta nuova; infatti la nostra pasqua, Cristo, è stata immolata. Celebriamo, dunque, la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e malvagità, ma con azzimi di sincerità e di
    verità» (1Cor 5,6-8). La novità che si deve compiere nei cristiani è l’uscita da ogni forma di doppiezza per camminare alla luce della verità. Allo stesso modo Gesù dice ai suoi discepoli di guardarsi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia (Lc 12,1ss.). Per poter ricevere la nuova realtà che il Signore porta attraverso la Pasqua e far parte del popolo di Dio (Es 12,15.19) è necessario fare sparire
    l’ipocrisia.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/