Domenica 18 Maggio (DOMENICA – Bianco)
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 14,21-27 Sal 144 Ap 21,1-5 Gv 13,31-35
Il vangelo di oggi è un inno alla gloria. Nel capitolo 13 del suo vangelo
Giovanni inaugura quello che gli esegeti chiamano il libro della gloria.
Infatti è dominante la parola “glorificare e gloria”
Dove sta dunque la gloria? Su chi Dio fa splendere la sua gloria? La
gloria, segno della presenza di Dio, era nube nel deserto che
accompagnava il popolo, nube che abitava la tenda del convegno. E ora dove sta la gloria? Dove si è posata
la gloria di Dio?
“Ora”, dice Gesù, il Figlio dell’uomo è stato glorificato”: la gloria di Dio è su di lui, su Gesù. E il verbo è al
passato, come a dire che è già avvenuta la glorificazione. Ed è avvenuta “ora”. Ma cosa è successo? Se noi
cerchiamo di capire subiamo una sorta di spaesamento. È la bellezza e la meraviglia del Vangelo che
disegna orizzonti nuovi e inediti.
Perché Gesù per è stato glorificato? Gesù si è alzato durante la cena, ha deposto la veste, ha preso un
grembiule, si è cinto i fianchi e poi, gettata dell’acqua nella catino, cominciò a lavare i piedi dei discepoli e
ad asciugarli tutti, nessuno escluso. E ha detto: “Vi ho dato un esempio, perché come ho fatto io facciate
anche voi”.
Poi Gesù ha dato il pane al traditore, a Giuda, e lui sapeva, sapeva che l’avrebbe tradito. C’è da rimanere
pensosi, con gli occhi spalancati e commossi. Dove si accende la gloria di Dio? Non sugli uomini che amano
i primi posti nei banchetti, ma sul Figlio dell’uomo che come servo lava i piedi, sul Figlio dell’uomo che dà il
pane del suo amore anche a colui che lo tradisce. Quando uno fa questo, si accende la gloria, su lui si posa
la gloria di Dio, la nube della sua presenza.
E noi dove mettiamo la gloria? Ancora per le vecchie strade dell’ambizione, del prestigio inseguito,
dell’esibizione pretesa o lungo le strade nuove del Vangelo? E su chi vediamo l’aureola della gloria? La
diamo ai manichini vuoti che affollano il palcoscenico del mondo o la gloria di Dio scende sul volto di chi
serve senza ambizione, per il solo gusto di servire e su quelli che non si arrendono mai nel gesto del dono,
anche se non sono riconosciuti o perfino sono traditi?
È questa la novità, è questo il turbamento che il Vangelo suscita in me. E allora comprendo la seconda
parte del vangelo di oggi quando Gesù dà ai discepoli come un testamento. “Ora me ne vado”, dice “vi do
un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”.
Ma dove sta la novità dell’amore se già nell’Antico Testamento era scritto: “Ama Dio con tutto il tuo cuore
e ama il prossimo come te stesso”? Dove sta il nuovo comandamento di Gesù? Sta in quella piccolissima
parola “come”. “Amatevi come io vi ho amati”. I discepoli di Gesù sono quelli che amano come Gesù ci ha
amati.
Amare però non è prerogativa solo dei cristiani: uomini e donne, fuori del cristianesimo, hanno dato prova
di amore, prove inequivocabili e luminose di amore. Dove sta allora la novità del comandamento di Gesù?
Che cosa dovrebbe caratterizzare e distinguere i cristiani?
Sta nell’amare chi hai davanti agli occhi e custodisci nella tua memoria il “come” ha amato Gesù. Allora
conserveremo limpida la memoria di come ha amato Gesù. Perché a quella memoria io sono chiamato ad
ispirarmi. Le pagine del Vangelo devono passare e ripassare nella memoria fino ad imprimere nel nostro
cuore il modo, il come ha amato Gesù.
Allora la parola amore prenderà una concretezza sconvolgente. “Vi ho lavato i piedi”, dice Gesù “come ho
fatto io, fate anche voi”. Chinatevi a terra e sollevate la stanchezza. Ha dato il boccone di pane a Giuda,
non lasciatevi fermare dall’ingratitudine degli uomini. Come io vi ho amati, così fate anche voi.
