Domenica 18 Maggio (DOMENICA – Bianco)
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 14,21-27 Sal 144 Ap 21,1-5 Gv 13,31-35
“dopo aver predicato il vangelo… ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede”. Nel quadro di una geografia delle comunità visitate nel viaggio i missionari Paolo e Barnaba esortano i discepoli a restare saldi. E’ l’esperienza della prima comunità ma è anche esperienza di ogni credente: la fatica della prova, la difficoltà e il senso di inutilità nel presentarsi di situazioni di opposizione o di incomprensione. L’esperienza della prova fa parte della vita ed è parte dell’esperienza della anche nella missione. Paolo Barnaba invitano a trovare saldezza nella fede, cioè nell’affidamento alla grazia di Dio, nella rinnovata fiducia nel Signore. La scoperta sempre nuova è che Egli stesso apre nuove porte e richiede una disponibilità coraggiosa per percorsi inediti: “Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede”.
La pagina dell’Apocalisse conduce ad orientare lo sguardo verso la nuova Gerusalemme, la città santa. E’ al centro della visione di un nuovo cielo e una nuova terra. Il mare – simbolo di ogni forza del maschio – non c’è più. La città ha le sembianze di una sposa gioiosa nelle nozze e nell’incontro con lo sposo. E’ uno sguardo che orienta a scorgere il fine della storia: l’esito della vicenda umana è indicato con la metafora della città, luogo di incontro, del convivere, della creatività e dello scambio. La città è opera del progettare e del lavorare umano, è luogo del vivere insieme, dell’incontro, è costruzione di case e relazioni… Al centro di questa città futura sta la presenza di Dio come Dio aperto all’incontro. ‘Dio con loro’ è il nome dell’Emmanuele (Mt 1,23; Is 7,14), ed è la promessa di Gesù risorto: ‘ecco io sono-con-voi tutti i giorni fino alla fine del mondo’ (Mt 28,20).
Le cose di prima sono passate: non c’è più la morte né lutto né lamento né affanno: un nuovo mondo ha inizio. Tale promessa richiama gli annunci profetici che annunciano il venir meno di lacrime e il costruire case e vigne per abitare per sperimentare la pace (Is 65,19-21).
Il quarto vangelo presenta la morte di Gesù come ‘glorificazione’. Proprio sulla croce si manifesta la gloria di Dio perché lì, nel luogo dell’infamia si rende vicino e visibile il volto di chi vive l’amore sino alla fine. La croce di Gesù, nel IV vangelo diviene luogo di epifania, manifestazione del volto paradossale di Dio stesso che si rivela come amore disarmato e indifeso. Nell’uso del termine gloria il IV vangelo rinvia alla teofania della gloria di Dio nel Sinai. Lì Dio si era manifestato rimanendo nascosto; sulla croce il suo volto si rende vicino nel volto del crocifisso. E come nel Sinai c’era stato il dono della legge, parola di vita e comandamento per incontrare Dio stesso nella vita, così Gesù, prima di morire lascia ai suoi come testamento un comandamento nuovo ed esprime nel lavare i piedi il senso profondo della sua vita come servizio e come amore che giunge sino alla fine. Gesù lascia ai suoi il nuovo comandamento: ‘amate come io vi ho amati’. Non si tratta tanto o unicamente di indicazione di un esempio da seguire, ma di trovare in lui la forza di amare in tale modo. Gesù indica la via dell’amore come manifestazione dell’essere suoi discepoli. Vivere in tal modo è già anticipare nel tempo l’esperienza dell’incontro con Dio. Siamo chiamati ad affidarci a lui, ad accogliere innanzitutto questo amore che non tiene per sé ma si spende per gli altri, superamento di tutte le cose passate e segno già qui e nel presente di un nuovo mondo che sta crescendo.
Alessandro Cortesi op
Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/
