Don Paolo Zamengo “Ascensione”

Domenica 1 Giugno (SOLENNITA’ – Bianco)
ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)
At 1,1-11   Sal 46   Eb 9,24-28;10,19-23   Lc 24,46-53

Oggi celebriamo il ricordo dell’Ascensione di Gesù al cielo. Ma la parola
“ascensione” non è precisa. Dovremmo forse parlare di assunzione di Gesù al
cielo; il verbo, infatti, è nella forma passiva: fu assunto, fu elevato, fu rapito
nei cieli. Come se Gesù salisse al cielo ma che fosse Dio Padre ad elevarlo.
Infatti è il Padre che glorifica. Glorifica “colui che è disceso”, disceso nella
nostra umanità. Lo dice S. Paolo nella lettera agli Efesini: Ma che significa la
parola ‘ascese’, scrive Paolo, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?
È come se Dio mettesse il suo sigillo sulla storia di Gesù. E’ il modo più vero,
più bello, più grande di interpretare la vita. Le scelte di Gesù oggi trovano la conferma: Gesù riceve la
conferma di una vita spesa a testimoniare nel mondo la tenerezza di Dio, il suo amore per gli ultimi e gli
esclusi.
È come se, nell’Ascensione, il Padre confermasse con il suo sigillo, le scelte, la passione, le lotte del suo
Figlio, Gesù. Ma ecco il paradosso: Gesù scompare, scompare alla loro vista, ma il Signore è sempre
presente. Sembra un paradosso: “Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi
partirono e predicavano dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro”.
“Fu assunto in cielo e operava con loro”. Gesù è ancora all’opera: questo è il tempo in cui Dio è ancora
all’opera, Gesù è ancora all’opera, insieme con noi. Infatti il brano del Vangelo di Marco e, ancor più, il
brano degli Atti, sono risuonati dentro di noi come un invito a operare, nel segno di Gesù. Non stare a
guardare il cielo: “Uomini di Galilea” -dicono gli Angeli- “perché state a guardare il cielo?”.
Ma che senso ha cercare ancora segni straordinari? Che senso ha attendere nuove rivelazioni? Che senso
ha correre dietro chissà quali segreti? “Perché state a guardare il cielo?”. Ritornate alla terra, è la terra che
va guardata, custodita, rinnovata. Questo invito a tornare alla terra, a operare nel segno di Gesù è invito
per tutti noi, per noi che siamo quelli che siamo, per noi che non siamo mostri né di fede né di santità.
Voi forse ricorderete che il brano di Marco, che oggi abbiamo letto, non apparteneva al Vangelo. Il Vangelo
di Marco, dicono gli studiosi, chiudeva con una pagina per nulla esaltante, chiudeva con le donne in preda
alla paura. “Uscite, fuggirono dal sepolcro, perché le aveva prese tremore e stupore. E non dissero niente a
nessuno perché dubitavano”.
E allora si aggiunse il brano che consegna ai discepoli il compito della testimonianza al Vangelo, il compito
cioè di spendere la vita per testimoniare sulla terra la tenerezza di Dio, il suo amore per gli ultimi. Come
vedete, non è un operare vago quello a cui siamo invitati, non è l’invito a fare tanto per fare, ma a fare nel
segno di Gesù, dentro le scelte di Gesù.
E cinque sembrano essere i compiti affidati: scacciare i demoni, parlare lingue nuove, prendere in mano i
serpenti, non avere paura dei veleni, imporre le mani ai malati. Ebbene, sarebbe un errore quello di
leggere questi segni solo in una visione miracolistica, un miracolismo fuori dalla nostra portata. L’invito è
invece a guardare la terra, di amare la terra, a impegnarsi per la nostra terra.
E per amare la nostra terra ci sono azioni anche alla nostra portata, che possono trasformare la terra e noi.
Scacciare i demoni: il demonio nella Bibbia è ciò che opprime, ciò che soffoca, e dunque lottare contro
tutto ciò che opprime e soffoca la libertà, la dignità, delle persone e dei popoli. Parlare lingue nuove:
quanto bisogno c’è di lingue nuove, di nuove idee, di prospettive nuove, in un mondo dove si riciclano
all’infinito le cose tristi di sempre!
Prendere in mano i serpenti. E cioè, creare un mondo dove le diversità non facciano più paura. Bere i veleni
senza averne male: e cioè passare indenni, vaccinati, in mezzo alle cattiverie umane, uomini e donne liberi,

che non si lasciano scalfire. Imporre le mani ai malati: i malati quasi simbolo delle innumerevoli ferite.
Prendersi dunque cura delle ferite dell’umanità. L’umanità che siamo noi.
Ce lo aveva ripetuto come un ritornello Papa Francesco nelle sue encicliche. E noi abbiamo continuato a
inventare le guerre. E la terra è a pezzi.