Figlie della Chiesa Lectio “Cristiano, diventa ciò che sei!”

Domenica 6 Luglio (DOMENICA – Verde)
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Is 66,10-14   Sal 65   Gal 6,14-18   Lc 10,1-12.17-20

Cristiano, diventa ciò che sei!”. L’esortazione accorata di Ireneo di Lione ai cristiani del suo tempo esprime la sintesi del messaggio della liturgia di questa Quattordicesima Domenica del Tempo Ordinario: ciascun cristiano è chiamato a diventare Cristo e ad annunciarlo a quanti incontra sul suo cammino.

L’identità di ogni credente in Cristo trova la sua vera immagine in Gesù, fatto uomo per indicarci come vivere da figli amati dal Padre e, in quanto tali, essere fratelli di tutti. Di conseguenza, la missionarietà indicata nel Vangelo ci pone oggi di fronte a domande fondanti: che cristiano sono? Che cristiano voglio diventare?

La pericope evangelica che meditiamo è tratta dal cap. 10 del Vangelo di Luca e si colloca in un momento molto importante della vita di Gesù. Poco prima, al versetto 51 del cap. 9 l’evangelista ha sottolineato che Egli “prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”; lì manifesterà pienamente il volto del Padre e testimonierà il suo amore fino alla fine, attraverso la morte atroce e infame della crocifissione. Non possiamo prescindere da questo dato se vogliamo davvero cogliere il cuore della missione che il Signore stesso ci affida, se vogliamo davvero comprendere cosa significa essere cristiani, consapevoli che per testimoniare questa identità è necessario porre lo sguardo su quanto il Maestro ha fatto, per imparare da Lui.

La prima sottolineatura che ci aiuta a comprendere la rilevanza di questo vangelo per ciascun cristiano è l’indicazione della designazione, da parte del Signore, di altri settantadue discepoli inviati da Lui a due a due in ogni città e luogo dove sta per recarsi. La numerazione nella Bibbia non è mai casuale e anche il numero settantadue ci dà un’indicazione importante. Esso, infatti, è utilizzato per sottolineare l’universalità della missione, che è compito di ogni battezzato, il quale immerso nella morte e risurrezione di Cristo è chiamato ad annunciarlo al mondo intero. Purtroppo, nella nostra mentalità c’è ancora l’idea che la missione è compito di alcuni che, magari animati da una maggiore generosità e chiamati dal Signore, si dedicano all’annuncio del Vangelo; e nella maggior parte dei casi, quando pensiamo ai missionari, pensiamo ai sacerdoti, ai religiosi o religiose che scelgono radicalmente di dedicarsi al servizio del Regno, quasi come un’esclusività.

La designazione dei settantadue dunque ci interpella, in quanto ci mostra che l’annuncio del Vangelo è compito di tutti i credenti in Cristo, di tutti quelli che mediante i sacramenti hanno risposto sì alla chiamata del Signore a lavorare nella sua vigna che è la Chiesa. Prendere sul serio il Vangelo di oggi significa pertanto chiedersi in che modo l’incontro con il Signore Gesù nella nostra vita ci sta facendo capaci di annuncio a quanti fanno strada con noi, perché la designazione di Gesù a camminargli davanti per annunciare la sua venuta è per ciascun battezzato.

Un ulteriore passo che ci viene dall’incipit della pericope evangelica è il fatto dell’invio a due a due, che delinea la caratteristica fondante della missione. Colui che annuncia il Vangelo, la buona notizia del Regno, non è da solo, ma insieme ad un fratello, ad una sorella, per un motivo ben preciso: il cristianesimo non è questione individuale, ma relazione, comunità, condivisione. L’esperienza cristiana ha senso se è vissuta con altri, che come me condividono i valori del Maestro e testimoniano che una vita donata al servizio del Regno è una vita piena, bella, compiuta.

Non possiamo allora prescindere dal chiederci: con chi sto annunciando la mia fede? Con chi sto facendo comunità e quanto mi sto sporcando le mani dando il mio contributo concreto? “Cristo sì, Chiesa no”, è lo slogan ancora oggi inflazionato per descrivere la propria relazione con Gesù; purtroppo, esso rivela l’adesione ad una religione che ci si è delineata a propria immagine e somiglianza, ma che non ha niente a che vedere con l’annuncio cristiano, che non può assolutamente fare a meno della Chiesa, di una comunità di credenti che cammina con il Signore Gesù verso la pienezza della gioia.

L’apice della buona notizia che ci raggiunge oggi è l’indicazione della caratteristica fondante del cristiano che annuncia il Regno: è un agnello, non un lupo! Nell’immagine dell’agnello è racchiuso il tesoro del messaggio evangelico, che attinge proprio al suo protagonista: il vero Agnello è Gesù, che vive tutta la sua vita mostrandone i tratti salienti di mitezza, mansuetudine, servizio, dono totale di sé, fino all’offerta suprema della vita, come sacrificio di soave odore.

Le indicazioni che Gesù dà per imitarlo nelle attitudini tipiche dell’agnello non sono altro che l’espressione di quanto Lui ha compiuto durante tutta la sua missione; e a noi non resta altro che seguire il suo esempio, anche se è grande la fatica che sperimentiamo nel far nostro questo stile di vita. Sappiamo bene che il mondo in cui viviamo è un mondo di lupi, dove c’è la convinzione che se davvero uno vuole realizzarsi deve comportarsi anche lui da lupo, a volte barattando i valori in cui crede.

Questa fatica non è nascosta al Signore, non lo era nemmeno quando si è rivolto ai discepoli esortandoli ad essere agnelli, sapendo che sarebbero vissuti in mezzo ai lupi. E poiché Lui continua a chiedercelo, significa che è possibile, perché il Signore non ci domanda nulla al di sopra delle nostre forze! Certo, per poter vivere da agnelli, è necessario che ci spogliamo della pretesa di poter fare da soli e di costruire la nostra vita su fondamenta che hanno come unico desiderio la realizzazione di noi stessi e dei nostri bisogni…

L’invito ad andare, ad uscire dalle proprie certezze senza portare con sé le comodità, le sicurezze e gli appoggi a cui siamo abituati, è la richiesta di fidarci di un Altro, di lasciare che sia la relazione con il Signore a definire i nostri criteri di scelta e a guidare le relazioni con gli altri.

Come l’apostolo Pietro, potremmo sentir salire dal nostro cuore la domanda: “Che cosa ne avremo in cambio?”, perché sentiamo che aderire a questa richiesta, ponendo fuori di noi il baricentro della nostra vita, ci fa mancare la terra sotto i piedi… A questa richiesta lecita ed umana, Gesù risponde rivelandoci che la nostra gioia sta nel fatto che i nostri nomi sono scritti nei cieli: siamo nel cuore di Cristo e la nostra vita donata diventa caparra di una gioia che non avrà mai fine. Questa è la nostra fede!

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/