Domenica 13 Luglio (DOMENICA – Verde)
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Dt 30,10-14 Sal 18 Col 1,15-20 Lc 10,25-37
Il Vangelo di oggi ci racconta il dialogo tra Gesù e un dottore della
legge. Con la parabola del buon samaritano Gesù ci rivela la forza
della provocazione a noi che tante volte voltiamo la faccia per non
vedere e non agire.
L’episodio nasce in un contesto di parole: il dottore della legge, un
“teologo” diremmo noi oggi, ha di mira il mondo delle parole e, lasciandosi sedurre dalle parole, non può
che arrivare alle disquisizioni dottrinali, al tranello delle parole. Vuole “trarre in inganno” Gesù e poi
“giustificarsi”. Così è scritto.
Le domande possono essere anche legittime, giuste possono essere anche le risposte, come avviene, ma il
problema non sta nelle parole. “Hai risposto bene” dice Gesù al “teologo” che ha citato a memoria e alla
perfezione la Bibbia. “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Non bastano le risposte teologiche, ma ‘fai questo’. E ancora a conclusione della parabola: “Hai detto bene
che prossimo è stato colui che ha avuto compassione, va’ e anche tu fa’ lo stesso”. È come se Gesù
richiamasse noi uomini delle tante parole, delle parole “teologiche”, alla concretezza dell’agire. “Anche tu
fa’ questo e vivrai”.
Ma il “teologo” – quell’uomo delle parole – si trova a disagio davanti a Gesù che parla il linguaggio della
semplicità. In un mondo come il nostro, dove più si parla complicato, più si ha l’aria di essere intelligenti e
santi. Uno che dice: “Ama Dio, amalo con tutte le tue forze, con tutta la tua anima e ama il prossimo come
te stesso”, sembra dire cose ovvie, cose da poco.
E allora cerca di innescare una dissertazione teologica sul concetto di prossimo: “Chi è il mio prossimo?”. E
Gesù raccontando la parabola del samaritano sembra dirgli: guarda la vita e capirai. La vita ti farà capire chi
è il prossimo. E racconta una parabola dal tono anche ironico.
A volte mi viene fatto di pensare che se noi non conoscessimo da piccoli questa parabola, se nessuno ci
avesse detto che è di Gesù e che è scritta nei vangeli, qualcuno, ascoltandola, potrebbe dire e pensare che
la parabola è rivolta solo al clero o ai sacerdoti.
Ma la parabola è di Gesù. Se è di Gesù che cosa fa la differenza tra sacerdote e levita da una parte e il
samaritano dall’altra? La differenza la traccia la realtà, perché la realtà di un uomo ferito, spogliato, mezzo
morto, nel nostro caso, è sotto gli occhi di tutti: del sacerdote, del levita, e del samaritano.
La differenza la fa lo sguardo. È detto del sacerdote: “Lo vide e passò oltre”. Il levita “Lo vide e si girò
dall’altra parte”. “Lo vide e ne ebbe compassione”: è detto solo del Samaritano, con la esse maiuscola. C’è
uno scarto, come un salto nel racconto ed è questo: “ne ebbe compassione”, che è un verbo, scusate la
parola, un verbo “viscerale”. Nel significato greco è un verbo che riguarda le viscere, la profondità del
cuore.
“È un fatto di cuore” sembra dire Gesù. Questa parabola serve a svelare la consistenza e la verità della
“compassione” che è scritta nel più profondo delle viscere e del cuore, di ognuno di noi. Ascolta le viscere,
ascolta il cuore, ascolta la compassione. “Ebbe compassione”: dice Gesù. Se ascolti le viscere, se ascolti il
cuore, senti che il comando è scritto dentro di te, non è un comando lontano.
Quando Mosè nella grande omelia della steppa parlava a nome di Dio, diceva: “Questo comando che oggi
ti do non è troppo alto per te, né troppo lontano da te”. Anzi questa parola, la “compassione”, è molto
vicina a te, è nella tua bocca, è nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Saremo vicini al regno di Dio,
secondo la parabola, non perché frequentiamo il tempio. Chi più del sacerdote e del levita frequentavano il
tempio, ma vedono e passano oltre. Entrano nel Regno non sono quelli che pensano: “Che ne sarà di me,
se mi fermo?”, ma coloro che pensano: “Che ne sarà di lui, se non mi fermo?”.
