Domenica 20 Luglio (DOMENICA – Verde)
XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Gn 18,1-10 Sal 14 Col 1,24-28 Lc 10,38-42
I cuore della liturgia di oggi è il racconto della casa di Betania in un
piccolo villaggio poco distante da Gerusalemme. Gesù entrava
volentieri in tante case, soprattutto in quelle dei malati. E non si
vergognava di essere invitato anche a casa dei pubblicani.
Così scopriamo che Gesù amava le case dove raccontarsi, dove il
cuore trovava rifugio e la casa di Betania era una di queste. Ora sappiamo che, nei giorni prima della
passione, lui passò a Betania. Quella casa era per lui l’intimità dell’amicizia. Gesù incontra Marta e Maria,
due donne certamente importanti nella prima comunità e poi nella Chiesa primitiva.
E il dialogo tra Gesù e Maria, ha contribuito a generare nella tradizione l’idea di una certa superiorità della
vita contemplativa rappresentata da Maria rispetto a quella attiva di Marta, e che la “sola cosa necessaria”
fosse l’ascoltare a “tempo pieno” della parola di Dio. Come se esistesse un contrasto tra ascoltare e
lavorare, come se “l’ora et labora” non fosse Vangelo.
Ma è importante il gesto di Gesù che entra nella casa di due donne. Una dimora in cui Gesù dona la sua
parola, senza attendere nessun “capofamiglia” per farlo. Un atto davvero sovversivo che dice ancora una
volta quanto fossero importanti le donne per Gesù, perché dotate di una capacità di ascolto meravigliosa,
forse maggiore di quella di tanti uomini..
Spiace che l’apprezzamento di Gesù sia stato preso come base biblica per giustificare teologicamente la
superiorità della vita contemplativa. Se una “sola cosa è necessaria”, allora ci allontaniamo dal senso di
questo episodio perché nella vita “molte cose” sono necessarie. E sono necessari gli amici, la comunità, le
mogli, i mariti, i figli, i fratelli, il lavoro… Altrimenti sarebbero bastati gli angeli.
Marta e Maria danno ospitalità a Gesù. Tutte e due attendevano spesso la sua visita. Il racconto dice che è
Marta a invitare Gesù. L’evangelista la fa uscire dall’anonimato e le dona un’identità, un volto e il rilievo
più importante è indicato dal verbo che precisa la sua azione specifica: “lo ospitò”.
Ma poi, in un certo senso, Marta dimentica l’ospite e lo trascura. Non certo nel senso che non pensa a lui:
le cose che sta preparando sono infatti per lui! Affannata com’è, invita Gesù a richiamare la sorella, perché
si dia da fare, lei che se ne sta accoccolata ai suoi piedi ad ascoltarlo!
E così Gesù rimprovera Marta: non certo perché fa qualcosa, (e cosa e come avrebbero mangiato lui e i
suoi discepoli quel giorno se non c’era Marta?). Non la rimprovera perché è occupata ma perché è agitata,
un po’ troppo affannata. Gesù era attento a un troppo che è sempre in agguato, a un troppo che può
ingoiarci, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre.
Sedersi ai piedi di Gesù ci permette di imparare a distinguere il superfluo dal il necessario, l’illusorio dal
permanente, l’effimero dall’eterno. L’ospitalità non comprende solo il servire, soprattutto chiede anche
l’ascoltare. Gesù mette l’allarme sulla vita dove la preoccupazione delle cose invade l’intero orizzonte
dell’anima, dove il fare si trasforma in fretta e in superficialità.
Messaggio importante per una stagione come la nostra dove la testa rimbomba in continuazione, dove non
basta mai una cosa, dove l’agitazione e la connessione sembra diventare la nevrosi del nostro tempo. E
intanto l’altro aspetta, in silenzio. Aspetta di essere accolto e di essere ascoltato.
Perché l’altro, anche l’ospite di tutti i giorni, la moglie, il marito, il figlio, la figlia, un fratello, un giovane, i
giovani, un insegnante, i genitori, l’estraneo, non sono riducibili solo a chi aspetta di essere sfamato e
mangiare, ma è anche un uomo o una donna o un giovane o un fratello che attende di essere accolto e di
essere ascoltato per i pensieri e i desideri che abitano il suo cuore.
Abbiamo tutti un’immagine di noi da difendere e un posto nella società, nella comunità, nella chiesa, nella
scuola, da occupare. La sofferenza nasce quando ciò che siamo o che vogliamo essere, ciò che facciamo o
che diciamo, sembra incontrare l’indifferenza, il fastidio e, persino, il rifiuto.
La questione allora è: come vogliamo essere guardati e capiti, quindi come vogliamo essere amati?
L’ospitalità è dunque creare spazio dentro di me mediante l’ascolto. Perché la dimora in cui l’ospite sogna
di essere accolto è certamente una casa fatta di pareti, ma è anche la casa, la dimora del nostro cuore.
L’altro attende di essere ospitato in me, da me. Vale per ogni ospite, vale anche per Gesù.
In fondo all’anima abita la nostalgia di quello che dovrei essere non sono. I momenti decisivi della vita non
sono quelli in cui ho fatto qualcosa ma quelli in cui ho trovato qualcosa o qualcuno. I momenti in cui ho
avvertito un pezzo di cielo sulla terra e in me. Viene il momento di dire “eccomi”, viene per tutti. Lasciamo
parlare Gesù nella dimora del nostro cuore certi che Gesù ci ospita nel suo cuore e ci ascolta sempre
perché ci ama.
