Domenica 27 Luglio (DOMENICA – Verde)
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Gen 18,20-32 Sal 137 Col 2,12-14 Lc 11,1-13
Affidarsi senza limiti nel cuore
“Ho bisogno di calore
Che non sappia di terreno
Che mi culli dolcemente
Che perdoni pienamente
Che mi riempia di sereno
Vorrei centomila cose
Le vorrei con la mia mente
Ma mi sembra di capire
Che per te tra il dire e il fare
C’è un mio bene differente”
(Fino a dove può arrivare, I reale)
Durante questi giorni di vacanza, mi sono ritrovata spesso a osservare una scena piena di dolcezza: il figlio piccolo dei miei amici cercava istintivamente la mano del padre. Bastava sfiorarla, anche con un tocco appena percettibile, per farlo calmare o cullarlo dolcemente fino al sonno.
Le mani di un papà sono molto importanti per un bambino. Non solo gli insegnano il valore e il conforto del contatto fisico, ma lo guidano anche verso la scoperta del mondo esterno. Quel mondo che si estende al di là dell’abbraccio protettivo, dove le braccia del padre e della madre lo stringono al cuore, avvolgendolo di amore, sicurezza e calore. Non sorprende, quindi, che Gesù abbia evocato l’immagine del padre per parlare di Dio e per introdurre il tema della preghiera.
All’inizio della nostra esistenza siamo completamente dipendenti: chiediamo tutto e ci affidiamo totalmente a chi si prende cura di noi. Con il tempo, però, impariamo ad allontanarci, cercando di affrontare la vita con le nostre forze.
Gesù, nel suo Vangelo, ci invita a tornare bambini, all’innocenza e alla fiducia dell’infanzia: ci ricorda che abbiamo un Padre; presenza costante e amorevole a cui rivolgerci sempre. Ci spinge a guardare indietro, a riflettere sulla nostra storia, a riconoscere che invocare il Padre significa ricordare la nostra origine, che va al di là della nostra comprensione. Significa abbandonare l’illusione di onnipotenza e accettare che la vita ci è stata donata e che mai possiamo possederla del tutto.
Gesù insegna ai discepoli ad avvicinarsi a Dio con semplicità e confidenza.
La preghiera del “Padre nostro” non è preceduta da formule elaborate o atteggiamenti reverenziali volti a “guadagnarsi” il favore di Dio. Al contrario, Gesù invita ad abbattere ogni distanza e paura. Non dice di rivolgersi a Dio con titoli solenni, né con espressioni che sottolineano la nostra piccolezza davanti alla sua maestà; propone invece un appellativo intimo e familiare: Padre. Una parola che racchiude fiducia e confidenza, proprio come quella di un bambino nei confronti del proprio papà.
La preghiera del “Padre nostro” è radicata profondamente nella vita quotidiana dell’uomo. Ci insegna a chiedere il pane di ogni giorno, una necessità semplice e fondamentale. Questo dimostra che la fede non è qualcosa di staccato dalla realtà, una pratica da riservare a momenti straordinari o accessoria alla vita quotidiana, dopo aver soddisfatto i bisogni materiali. Al contrario, la preghiera nasce con la vita stessa. Gesù ci insegna che non serve aspettare di essere appagati per pregare: è nell’affanno e nelle tribolazioni che si staglia la necessità del dialogo con Dio. Ogni fame, ogni lacrima, ogni sofferenza e ogni lotta umana racchiudono in sé una domanda profonda, un’invocazione silenziosa verso il cielo.
Gesù non vuole spegnere ciò che c’è di umano in noi attraverso la preghiera. Non intende – come ci ricorda Papa Francesco – renderci insensibili al dolore o alle domande profonde che si agitano nel nostro cuore. Anzi, vuole che ogni sofferenza o inquietudine si trasformi in slancio verso l’alto, che ogni questione irrisolta diventi dialogo vivo e sincero con il Padre.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. Gesù stesso ci offre un esempio concreto per comprendere questa promessa di Dio: se un figlio chiede un pesce, il padre non gli darà una serpe; se chiede un uovo, di certo non riceverà uno scorpione.
Nel Vangelo di Luca, a queste parole si aggiunge la parabola dell’amico che, nel cuore della notte, sveglia il vicino per chiedergli pane da offrire a un ospite inatteso. Nonostante l’ora poco adatta, l’insistenza dell’amico lo spinge a dare ciò di cui ha bisogno. Anche quando l’amicizia da sola non è sufficiente a garantire ciò che desideriamo, l’insistenza può fare la differenza. Se anche noi esseri umani, nella nostra limitatezza, sappiamo dare cose buone a coloro che amiamo, quanto più Dio, nostro Padre, può donarci ciò che è davvero il meglio per noi.
Basta chiedere. È un gesto apparentemente semplice, tuttavia non è sempre facile: chiedere, cercare e bussare presuppongono la grande consapevolezza che non bastiamo a noi stessi… Riconoscere la necessità di chiedere significa ammettere che non possiamo fare tutto da soli, che non siamo autosufficienti e che non possiamo salvarci con le sole nostre forze. Esiste qualcuno al nostro fianco, qualcuno che forse ha conosciuto le nostre stesse esperienze e al quale possiamo affidarci senza timore, mostrando le nostre fragilità e i nostri limiti, la nostra condizione umana fatta di imperfezioni, lontana dall’essere onnisciente o onnipotente. Solo accettando la nostra natura finita possiamo sentirci davvero liberi di chiedere, perché la capacità di bussare alla porta di Dio si fonda su questa stessa consapevolezza.
Quando percorriamo questa via interiore e impariamo a rivolgerci a lui con fiducia, ci viene promesso che otterremo una risposta. Eppure, nella realtà quotidiana, spesso questa promessa sembra essere infranta. Quante volte abbiamo bussato con fede e speranza senza ottenere ciò che tanto desideravamo? La delusione può trasformare l’atto di fede in una ribellione contro Dio, un’accusa per non averci ascoltato.
Il problema risiede nella prospettiva con cui spesso concepiamo la preghiera; tendiamo a immaginarla come uno strumento per convincere Dio ad allinearsi ai nostri desideri. Gli chiediamo ciò che riteniamo giusto, quasi imponendogli il nostro punto di vista su ciò che dovrebbe essere fatto per noi o per chi amiamo.
E se invece la preghiera fosse il modo attraverso il quale siamo noi a lasciarci trasformare dalla volontà di Dio?
Pregare diventa allora un mezzo per entrare nel pensiero di Dio, per vedere la realtà con i suoi occhi. Gradualmente scopriamo che la sua volontà è bella, vera e perfettamente adeguata alla nostra vita.
Gesù non teme di dirci: «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che lo chiedono!” E cosa significa ricevere lo Spirito Santo? Significa entrare nel mistero di Dio, comprendendo profondamente il suo amore infinito e accettando che egli vuole sempre il nostro bene. Nella sua tenerezza paterna non solo ci dà ciò di cui abbiamo bisogno; ci concede anche ben più di quanto possiamo immaginare.
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/
