Domenica 27 Luglio (DOMENICA – Verde)
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Gen 18,20-32 Sal 137 Col 2,12-14 Lc 11,1-13
Luca presenta Gesù che viene quasi costretto dai suoi a dir loro qualcosa sul pregare ‘come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli’. Gesù ‘si trovava in un luogo a pregare’, solo quando ebbe finito i suoi discepoli si rivolgono a lui chiedendo di insegnar loro a pregare.
Si potrebbe aprire la domanda: Gesù non aveva insegnato ai suoi nulla sul pregare? Ma ancora, è forse possibile insegnare a pregare? Che cosa significa pregare? Luca presenta le parole di Gesù quasi a risposta di una pressione su di lui. I discepoli sono preoccupati di non essere al pari di altri? Quali i tratti e il senso del pregare per Gesù? Che tipo di esperienza era la sua? Gesù si ritirava da solo a pregare anche fuori degli ambiti propri per la preghiera, la sinagoga o del tempio. Peraltro entrava nella sinagoga si recava (cfr. Lc 4,16). Ma la sua esperienza si situava nel distacco dalle folle e nella solitudine.
Il brano di Luca affronta il tema della preghiera caro all’evangelista. E riporta una sorta di piccolo riassunto su aspetti centrali della preghiera. Nel contempo fa intravedere che non si tratta di apprendere qualche nozione, o di assumere un metodo, o anche di svolgere delle pratiche puntuali. Pregare è esperienza che ha a che fare con l’inedito della relazione. E’ imparare a stare con Gesù, è lasciarsi coinvolgere in un incontro in cui ogni regola è insufficiente e inadeguata. Ogni fissazione di modelli rischia sempre di essere un tradimento ed uno sviamento fino al punto di venir meno all’essenziale. Un incontro è sempre nuovo e diverso, per ogni persona, per ogni comunità, per ogni epoca. Sta qui la debolezza e la forza delle poche e scarne parole che Gesù lascia ai suoi: li invita a rivolgersi ad un Tu, a chiamare Dio Abbà, a rivolgersi a Lui non al singolare ma al plurale dicendo ‘nostro’. Li invita ad invocare l’affrettarsi del regno di Dio, cuore del suo messaggio e dei suoi gesti. Li invita a domandare il pane di ogni giorno. Pregare è assumere il balbettio di bambini, è sperimentare apertura ad un Dio che prende in braccio e si prende cura. Ma è anche esperienza di affidamento e di scoperta di impegno per continuare i gesti di Gesù per tessere quelle relazioni nuove di riconciliazione e perdono che Lui ha attuato.
Al centro del pregare, come disposizione di apertura e ascolto che coinvolge tutto l’essere, sta un movimento di confidenza. E forse questo basta. E’ l’esperienza insondabile di Gesù, l’esperienza del Padre come Abbà che si comunica a noi e fa partecipare di questa intimità. E’ sfida a stare nella fragilità e nella verità di fronte a Dio che ci vuole bene e si prende cura di noi. Stare di fronte al suo silenzio lasciando spazio al grido Abbà (Rom 8,15).
Le richieste indicate da Gesù sono una traccia per scoprire l’agire di Dio nella nostra storia. Il nome, la sua santità si sta manifestando, il regno sta venendo, e tutto ci coinvolge. Le prime due richieste riguardano il realizzarsi del progetto di Dio: il suo nome ci è comunicato, il regno viene anche se come piccolo seme e realtà insondabile. Dio rivela il suo nome quando libera e salva. Le altre tre richieste, sono quelle del pane, del perdono e della fortezza nella prova: il pane è necessità quotidiana di ogni uomo e donna. Dio ‘rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, … libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto’ (Sal 146,7-8). Il pane invocato è anche simbolo della comunione, della gioia condivisa e della fraternità. Il perdono è corrente di vita che ha origine solamente da Dio ma passa attraverso il perdono dato e ricevuto laddove rapporti sono stati feriti. Il perdono si connota come dono da invocare e ricevere. L’ultima invocazione è di non soccombere nella prova. Gesù proprio nel momento della prova vivrà un pregare più intenso e diviene esempio per noi (Lc 22,39-46): la lotta è sostenuta nel rapporto profondo con il Padre.
Nelle parole che Gesù lascia ai suoi due sguardi si compongono: lo sguardo al regno dono del Padre e l’impegno per rapporti nuovi in una storia di riconciliazione. La parabola del giudice iniquo che si lascia smuovere solo dall’insistenza della vedova che non si stanca di bussare alla sua porta sta ad indicare che pregare non è emozione di un momento ma può costituire elemento costante della vita. “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate vi sarà aperto”.
Alessandro Cortesi op
Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/
