Domenica 27 Luglio (DOMENICA – Verde)
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Gen 18,20-32 Sal 137 Col 2,12-14 Lc 11,1-13
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
Commento
Il modo in cui Gesù prega è profondamente diverso da qualsiasi altra forma di preghiera conosciuta. Il suo stile è unico, incisivo, capace di attrarre e provocare. Non si limita a ripetere formule o a seguire schemi prestabiliti: la sua preghiera è un autentico dialogo con il Padre, un incontro che trascende ogni formalismo e rivela una profondità di relazione che lascia senza parole. Gesù non prega come gli altri e questa differenza non passa inosservata! La sua preghiera è vissuta, è esperienza che incarna ciò che insegna. È significativo notare come i discepoli, colpiti dalla bellezza e dalla potenza di questo suo modo di pregare, sentano nascere in loro il desiderio di apprendere da lui l’arte della preghiera. Gesù, come ogni vero maestro, non si limita a dare lezioni teoriche, ma prima vive l’esperienza. L’insegnamento scaturisce dall’esperienza stessa: l’azione precede la teoria. In questo caso, l’insegnamento sulla preghiera non nasce da un trattato o da una lezione formale, ma dal modo in cui Gesù stesso si rivolge al Padre. La sua vita è la prima lezione di preghiera. Quando i discepoli gli chiedono di insegnar loro a pregare, Gesù non si sottrae. Con grande generosità, offre loro un modello semplice ma profondo, che in poche parole racchiude l’essenza stessa della preghiera. Non si tratta solo di una sequenza di richieste, ma di un invito a riconoscere Dio come Padre, a vivere in modo tale da dare gloria al suo nome, ad accogliere la sua signoria e a cercare non solo il pane materiale ma soprattutto quello spirituale, “soprasostanziale”, che nutre la nostra anima. Un pane che sazia la fame più profonda, quella di amore, di verità e di grazia. E, infine, Gesù ci insegna a chiedere il perdono dei nostri peccati, speculando il perdono che offriamo agli altri. Ma la preghiera, secondo Gesù, non è solo questione di parole, ma anche questione di atteggiamenti. Egli sottolinea l’importanza dell’insistenza, della perseveranza nella preghiera. Pregare senza stancarsi, continuare a cercare il volto del Padre con fiducia e con cuore aperto. Non si tratta di una preghiera vuota o distratta, ma di un impegno continuo, di un cuore che sa di essere amato e che si lascia trasformare. Il risultato della preghiera, fatta con fede, è un dono straordinario: il dono dello Spirito Santo. La preghiera, se fatta con cuore sincero e con fede, ci rende partecipi della vita divina, ci permette di entrare sempre più profondamente in comunione con il Padre e ci trasforma. È questa la vera forza della preghiera di Gesù: non è solo un atto di devozione, ma un incontro che cambia la vita, che ci mette in contatto con Dio e ci fa riscoprire ogni giorno il suo amore e la sua paternità. In questo cammino di preghiera, possiamo anche pensare a San Francesco d’Assisi, il cui modo di vivere la preghiera è un altro straordinario esempio. I biografi raccontano che Francesco non era semplicemente un uomo che pregava, ma “l’uomo fatto preghiera”. La sua vita stessa era un continuo atto di preghiera: ogni suo gesto, ogni suo passo, ogni sua parola era impregnato di quella relazione profonda con Dio che rendeva la sua intera esistenza una preghiera vivente. Così come Gesù, Francesco ci insegna che la preghiera non è solo un atto, ma un cammino che trasforma la vita stessa, invitandoci a vivere ogni momento come un’occasione di incontro con il Padre. Gesù e Francesco ci mostrano che la preghiera non è una pratica separata dalla nostra vita quotidiana, ma una via di trasformazione che deve permeare ogni nostro atto, rendendo ogni momento un’opportunità per entrare in comunione con Dio.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)
Non è una novità il fatto di dare a Dio il titolo di padre. Nelle culture pagane il termine padre ha due accezioni: da una parte richiama la generazione; d’altra parte è sinonimo di padrone. Non si utilizza, invece, il termine padre con una valenza amorosa, per indicare una relazione d’amore fra l’umanità e la divinità. Nel mondo biblico il termine padre si adopera soprattutto per esprimere la singolare relazione fra il Messia discendente di Davide e Dio stesso: «Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza» (Sal 89,27). La novità di Gesù, dunque, non sta nell’uso del termine padre per rivolgersi a Dio, ma nel contenuto che attraverso quell’appellativo egli esprime e comunica. Se poteva essere insolito per un israelita chiamare Dio Padre, è decisamente strano e impensabile chiamarlo «Abbà» (Mc 14,36; Rm 8,15; Gal 4,6). La stranezza sta nel fatto che si tratta di un’espressione aramaica propria del linguaggio infantile, indeclinabile e senza suffissi, tipica del parlare quotidiano in famiglia: corrisponde al nostro «papà» o «babbo», ed esprime intimità, confidenza, tenerezza e fiducia. «Alla sensibilità dei contemporanei di Gesù sarebbe sembrato irriverente, anzi impensabile, rivolgersi a Dio con questo gergo familiare. Gesù ha osato invocare Dio chiamandolo ‘abbà e questa è una ipsissima vox Iesu» (J. JEREMIAS, Teologia, 82). L’invocazione «Abbà» sulle labbra di Gesù rivela il mistero della sua figliolanza divina e ci dice la sua relazione di fiduciosa obbedienza verso il Padre: ma ai suoi discepoli egli trasmette la possibilità della stessa relazione (Cf. F. MORAGLIA, Dio Padre Misericordioso, Genova, Marietti, 1998, 50-54).
Preghiera
Gesù, ho veramente bisogno che Tu mi insegni a pregare. Se penso ai miei dialoghi con te, frettolosi, distratti, pieni di altri pensieri, mi domando: “Con chi sto parlando? Con chi mi sto incontrando? Cosa sto dicendo a colui che ritengo amico del mio cuore?”. Gesù, devo riconoscerlo. La mia preghiera misurata dalla qualità degli atteggiamenti, dal tumulto dei sentimenti, dall’attenzione del cuore, è veramente povera, una semplice risposta al dovere. Quando sono davanti a te, Gesù, mi accorgo che Tu mi cerchi con lo sguardo, sento che Tu provi a stringermi nel Tuo abbraccio. Io sono spesso sfuggente, stanco e annoiato. E anche se non lo dico con le parole lo penso: “Finalmente abbiamo finito!”. Gesù, insegnami la Tua preghiera: notturna, silenziosa, innamorata, fedele, perseverante, anche nel dolore fiduciosa, coraggiosa fino all’ultimo respiro. Gesù, insegnami la Tua preghiera aperta, condivisa, donata. Gesù, insegnami la Tua preghiera forte, esigente, sempre veritiera, decisa, mai vacillante anche quando la prova ci stritola dentro il suo torchio. Gesù, voglio imparare da Te perché Tu mi chiedi di essere con la mia vita testimone autentico di preghiera.
Fonte:https://caritasveritatis.blog/
