Don Paolo Zamengo”Sono pochi quelli che si salvano?”

Domenica 24 Agosto (DOMENICA – Verde)
XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Is 66,18-21   Sal 116   Eb 12,5-7.11-13   Lc 13,22-30

Di Don Paolo Zamengo

Gesù passava per città e villaggi diretto a Gerusalemme, quando
un tale gli pone una domanda: “Signore, sono pochi quelli che si
salvano?”. Noi non conosciamo il suo nome, è un anonimo, forse
era un rappresentante dei dottori della legge. E infatti Gesù non
risponde al singolare ma al plurale, “voi” disse: “Sforzatevi di
entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare,

ma non ci riusciranno”.
Gesù ha detto “voi”, e conclude: “Voi, non so di dove siete”. Parole dure. E tutto per quella domanda che
poteva anche sembrare intrigante ma di fatto chiedeva soltanto un numero. Ma era una domanda sulla
pelle degli altri, perché quell’anonimo si sentiva già salvo. Se ripercorriamo le parole abbiamo proprio
l’impressione che Gesù quasi non sopportasse quell’uomo. E’ stato diretto, severo nei suoi confronti. Lo
scontro era avvenuto poco prima e forse Gesù sentiva ancora una certa amarezza. Era accaduto nella
sinagoga e aveva dell’incredibile.
Una donna, che uno spirito teneva inferma da diciotto anni, era curva e non riusciva ad alzarsi diritta. Gesù
la vide, la chiamò e le disse: “Donna, sei liberata dalla tua malattia”. Le impose le mani e subito quella si
raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella
guarigione di sabato, prese la parola e disse: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli venite a
farvi guarire e non nel giorno di sabato”. Ed era scoppiata la polemica solo perché Gesù aveva guarito una
donna curva da diciotto anni!
Ma Gesù era venuto proprio per lei e per raddrizzare coloro che se ne andavano a capo basso, curvati per
un eccesso di pesi e di prescrizioni della legge. E allora Gesù rincarò la sua condanna. “Voi fuori! Voi, non so
di dove siete. Allontanatevi da me, tutti voi operatori di ingiustizia!” E nella sua requisitoria ecco spuntare
il nome di Abramo. Gesù disse loro: “Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e
Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori”.
“Sono pochi quelli che si salvano?” Se il criterio per entrare è un altro, se è praticare la giustizia, si allarga a
dismisura il mondo dei salvati: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”.
Entreranno! Bellissima questa parola: entreranno! Bellissima per chi ha occhi che sognano, che sconfinano,
per chi ha negli occhi il paese di Dio.
Gli scribi pensavano e rivendicavano di essere della discendenza e del paese di Abramo. Ma lo
conoscevano Abramo? Ma non è forse vero che una notte, in cui il cuore ad Abramo tremava, Dio lo
aveva portato fuori dalla tenda. E’ scritto: “Poi lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in cielo e conta le
stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. E poi Dio gli aveva cambiato nome.
“Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti
renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni” (Gen 17, 5-6).
Diventare nazioni è una chiamata, è una vocazione, è una missione. Essere discendenza di Abramo, del
nostro padre Abramo, allora significa essere donne e uomini a cui stanno a cuore non i pochi ma le
moltitudini, essere donne e uomini del plurale, non di un popolo solo, non di una fede sola, non di una
cultura sola, non dei pochi, ma delle moltitudini.
Noi conserviamo nel cuore il sogno di Dio, importante per noi e per questa terra che amiamo. Nel silenzio
ascoltiamo le stelle che ci rimandano la voce di Dio: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle.
Tale sarà la tua discendenza”. La tua, la mia, la nostra discendenza, lo straripamento, non la restrizione ma
la moltitudine, “diventerai nazioni”. Al plurale, solo al plurale. Ebbene oggi risuonano per noi queste
parole.