Domenica 14 Settembre (FESTA – Rosso)
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE
Nm 21,4-9 Sal 77 Fil 2,6-11 Gv 3,13-17
Di Figlie della Chiesa 🏠
La croce gloriosa del Signore risorto è l’albero della mia salvezza
di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco,
nei suoi rami mi distendo…
Questo conosciutissimo canto ci pone di fronte al mistero dell’esaltazione della Croce, strumento non solo di condanna e morte, ma anche di vita donata e ricevuta; Vita da cui ricevere nutrimento e forza nel quotidiano. La Chiesa ha perciò sentito il bisogno di celebrare questo Mistero d’amore anche in un giorno distinto dal Venerdì Santo e nel IV secolo a Gerusalemme si è iniziato a celebrare questa bella festa che, sia cattolici che ortodossi, viviamo insieme il 14 settembre. Il fatto che quest’anno cada di domenica evidenzia ancor più chiaramente l’immenso dono di questo Mistero d’Amore.
È vero: quando la Croce è compresa nella sua potenza come fonte di speranza che trasforma la vita, viene intesa nel suo vero significato: non si tratta unicamente di uno strumento di condanna e di morte; è frutto dell’amore di Dio Padre, per tutti gli uomini, nel Suo Figlio Gesù. Il mistero pasquale infatti è unico: fatto di passione, morte, soprattutto di Risurrezione, che è il dono della Vita senza fine.
La Croce è gloriosa perché ci dice tutto il peso (in ebraico il termine kabod significa sia peso che gloria), la potenza e quindi la gloria dell’amore di Dio verso gli uomini di ogni tempo. Gesù ha trasformato con il suo amore “fino alla fine” uno strumento di morte in una fonte perenne di Vita.
Questo è il messaggio della Liturgia di oggi.
L’antifona di ingresso già ci mette di fronte alla potenza della Croce di Cristo e ci fa dire:
Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
Egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.
Il simbolo della Croce come potenza di salvezza viene proposto anche dal misterioso segno evocato nella prima Lettura: “Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita”.
La stessa dinamica di allora vale anche per noi oggi: consapevoli del “morso” del male prodotto dal nostro peccato, personale e sociale, siamo invitati a sollevare lo sguardo alla misericordia del Padre, al dono del Perdono procuratoci da Gesù Cristo attraverso la sua Passione e Morte; ad accoglierlo, impegnandoci a camminare alla Sua sequela.
La IIa Lettura ci ricorda quanto è costata a Cristo la nostra salvezza e come si è realizzata:
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini…
facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò…
La gloria è la conseguenza dell’amore vissuto fino alla fine: di un amore indefettibile verso il genere umano bisognoso di redenzione; di un amore che si è manifestato “prima della creazione del mondo”. A causa di questo Amore incommensurabile, il Signore Gesù ha accolto in piena libertà il progetto del Padre e con docile obbedienza non ha disdegnato di subire passione e morte. Credeva fermamente, infatti, nell’avverarsi delle promesse del Padre, nella possibilità di redenzione e salvezza, in Lui, di tutti gli uomini di ogni tempo.
Il Vangelo ci spiega e conferma il perché di tutto questo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. E potremmo aggiungere: il Figlio ha tanto amato i fratelli da consegnare se stesso.
“Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Anche nella Preghiera sopra le offerte e nel Prefazio è messo bene in evidenza il ruolo della Croce nella storia della salvezza:
- dal serpente giungeva la morte – dal serpente innalzato sulla croce la salvezza;
- dall’albero della tentazione il diavolo aveva tratto vittoria – dall’albero della Croce di Cristo il diavolo è stato sconfitto.
E l’Antifona alla Comunione ci dice l’effetto, il risultato, il beneficio di tutto questo per noi esseri umani:
«Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Il risultato della passione e morte di Cristo Gesù è per il genere umano un dono totalmente gratuito, che lo rende partecipe della Sua gloria divina; gli consente di entrare nella Vita senza fine.
Davanti ai mali e alle Croci di ogni tempo, che anche oggi sono numerose sia per i singoli sia per popoli interi, come il flagello della guerra, può esserci di aiuto quanto scritto dal Pastore Luterano Dietrich Bonhoeffer, ucciso in un lager nazista, nel suo libro Resistenza e resa: “Non tutto ciò che accade è volontà di Dio, ma in ogni cosa che accade c’è una via che conduce a Dio”. In tutto ciò che ci accade, pertanto, anche nelle disgrazie più grandi, possiamo cogliere un raggio di speranza: il bene donatoci dalla Croce di Cristo che per noi si fa Risurrezione e forza nella prova. Per questo, pur nel pianto, abbiamo la forza di glorificarla e, come ha ricordato Papa Leone XIV il 14 maggio, rivolgendosi ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali, «possiamo pregare le parole di Sant’Efrem il Siro e dire a Gesù: «Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. […] Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali» (Discorso sul Signore, 9). È un dono da chiedere quello di saper vedere la certezza della Pasqua in ogni travaglio della vita e di non perderci d’animo ricordando, come scriveva un altro grande padre orientale, che «il più grande peccato è non credere nelle energie della Risurrezione» (Sant’Isacco di Ninive, Sermones ascetici, I,5)».
La Croce, infatti, come ha ben scritto don Tonino Bello, è sempre e solo una “collocazione provvisoria”. Ha un termine. E se non lo vedremo in questa vita mortale, potremo essere ben certi che la sofferenza sperimentata su questa Terra si trasformerà in gioia immensa nel Cielo.
