Domenica 28 Settembre (DOMENICA – Verde)
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Am 6,1.4-7 Sal 145 1Tm 6,11-16 Lc 16,19-31
Di Don Paolo Zamengo
La parabola è nota. Abbiamo persino dato un nome al ricco
che non c’è nel testo: epulone. E’ un segno, non da poco,
che nella parabola il ricco non abbia un nome; mentre ha un
nome il povero: Lazzaro. Nomi veri e nomi fasulli, e penso a
tanti nostri titoli, che a volte sono ubriacature di nomi. Se
non hai umanità, non hai un nome.
Un giorno Gesù parlò di nomi scritti nel cielo: quello di Lazzaro lo è, non quello del ricco. Gesù ne
parlò rivolgendosi ai settantadue discepoli che erano rientrati dalla loro prima missione, entusiasti
perché persino ì demoni si sottomettevano al loro potere. Gesù sembrò gelare quell’eccesso di
entusiasmo: “Non rallegratevi -disse- perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto
perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 20).
Ho divagato perché mi intrigava il “senza nome”. E, contemporaneamente mi chiedo: “Io dove
vorrei fosse scritto il mio nome?”. Forse dovrei rispondere a un’altra domanda: “Io chi servo? E chi
amo?”. E uso intenzionalmente l’espressione “chi amo”, perché l’ho trovata sulle labbra di Gesù
poco prima della parabola. Sentite: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà
l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la
ricchezza”.
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Ed
egli disse loro: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri
cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole”. Se insegui la
ricchezza, se le sei affezionato, scordati di dire che sei credente, scordati di dire che tu servi Dio o
gli sei affezionato: “O Dio o la ricchezza”.
C’è un abisso, un abisso nel modo di pensare, di scegliere, di agire. Che si riflette poi nei cieli. Lo
ricorda Abramo al ricco: “Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”. L’abisso comincia dalla
terra, e i particolari sono di Gesù che a volte dimentichiamo e Gesù si guarda bene dall’edulcorare
la situazione. Il ricco vestito di abiti di porpora e di bisso e Lazzaro vestito di piaghe; il primo con i
suoi lauti banchetti, l’altro affamato di briciole da tavola, riconosciuto dai cani. Lo dice Gesù che
non è un agitatore allucinato – loro a leccargli le piaghe!
Leggiamo la parabola, e ci indigniamo con il ricco per la sua indifferenza. Perché questo è il
problema: l’indifferenza. Ma poi, se resistiamo a coloro che hanno mezzi a non finire, se stiamo ai
numeri che fotografano la realtà, una domanda mi passa nel cuore: “E’ cambiato qualcosa dopo la
parabola? Non dico che non sia cambiato nulla. Ma perché allora tanta disuguaglianza e tanta
povertà?
Dopo tutto il ricco concedeva a Lazzaro di sostare alla sua porta. E noi qui in Italia? Si descrive con
parole luminose le tradizioni di ospitalità della nostra terra, per poi leggere sui giornali che un
gruppo di giovani uccide bruciandolo un ambulante nero e disarmato su un marciapiede di una
citta non lontana da noi, con il resto del gruppo preoccupato solo di filmare la scena con i loro
cellulari, unici strumenti ‘attivi’ mentre si consumava un omicidio di ferocia folle e di
indifferenza”.
Ma c’è, forse, un tarlo ancor più pericoloso che rode, oggi, anche la nostra terra, lo stare a
guardare. Ha detto molto bene don Luigi Ciotti: “Il male non è solo di chi lo commette, ma anche
di chi guarda e lascia fare oppure volge lo sguardo altrove””. Non è forse vero che la parabola
assume oggi dettagli ancora più inquietanti? I poveri cristi rimossi dalla prossimità delle case, se
possibile dalle strade, a volte massacrati. E, rimosso il vangelo, e si difende un altro ordine. E
quale ordine? Tutto dipende dal mio cuore. A chi e a che cosa io sono affezionato? E dove vorrei
fosse scritto il mio nome?
Dunque siamo continuamente invitati a ricordare e ad ascoltare per non smarrire la strada e per
non costruirsi idoli al posto di Dio. Ascoltare e ricordare sono come due custodi del cammino che
continuamente ci riconducono a quel centro dal quale mai va distolto il nostro sguardo.
