Alessandro Cortesi Commento XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Domenica 28 Settembre (DOMENICA – Verde)
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Am 6,1.4-7   Sal 145   1Tm 6,11-16   Lc 16,19-31

Di

Un contrasto radicale tra il ricco e il povero è al centro della parabola di Gesù. I nomi già esprimono condizioni diverse. Il ricco è senza nome, il povero reca nel suo nome l’indicazione ‘Dio aiuta’. E’ una pagina propria del vangelo di Luca, attento in modo particolare alla povertà quale questione rilevante nel messaggio di Gesù e per chi desidera seguirlo. Importanza centrale hanno infatti l’ascolto della parola del Signore ed insieme la prassi, uno stile di vita liberato dall’indifferenza al dolore dell’altro. Luca è anche preoccupato per la sua comunità che rischia di assopirsi e di non vivere l’inquietudine nell’assumere le proposte radicali di Gesù: la situazione di benessere, quando non è vissuta con scelte di sobrietà e nell’impegno a condividere conduce all’indurimento del cuore.

La parabola inizia con due quadri contrapposti: la situazione del ricco con i tratti dello spensierato e del gaudente. Insensibile a causa del lusso che lo avvolge e lo fa vivere come in una bolla. Fino ad essere ignaro, a non vedere nemmeno, il dolore di chi alla sua porta non ha da mangiare e soffre. D’altra parte c’è la figura di Lazzaro, povero, coperto di piaghe, allontanato dalla casa dove si banchettava lautamente e accerchiato dai cani randagi. E’ una contrapposizione che incontra il limite fondamentale della morte che raggiunge tutti e due e conduce ad un nuovo confronto, questa volta proiettato nel mondo dell’aldilà.

A questo punto però c’è un totale rovesciamento: Lazzaro è portato dagli angeli nel seno di Abramo mentre il ricco è nei tormenti. Lazzaro gioisce per una comunione di vita di cui Abramo è il padre, il ricco invece sperimenta la rovina, la solitudine. La parabola non intende offrire un insegnamento su ciò che viene dopo la morte. La dinamica del racconto mira piuttosto a porre in risalto l’esigenza di aprire gli occhi sull’ingiustizia e a svegliare i cuori ad essere sensibili. La parabola conduce a scorgere come non c’è da aspettare, ma il tempo presente, l’oggi, è momento di decisione. La povertà e la miseria sono mali che Dio vuole eliminare e il regno di Dio è presentato come regno di vita, di salute e benessere per ogni persona. Gesù intende mettere in guardia dalla spensieratezza e dall’indifferenza. Ogni ricchezza, l’uso dei beni esige sobrietà e apertura alla condivisione. I beni sono realtà affidate ed esigono di essere usati nel rispondere alla relazione con gli altri, nel sentire la sofferenza dell’impoverito. I beni possono divenire idoli e condurre alla preoccupazione di un accumulo, a divenire ciechi di fronte alla sofferenza di chi soffre. La presunzione e la superficialità del ricco sono considerati da Luca come un ostacolo insormontabile a comprendere la via che Gesù indica ai suoi. La seconda parte della parabola presenta poi un dialogo. Il ricco Chiede ad Abramo di andare ad avvisare i suoi cinque fratelli, perché non facciano come lui. Le parole di Abramo rinviano ad un ascolto da coltivare nella vita: “Hanno Mosè e i profeti: li ascoltino…”. Sta qui il vertice verso cui la parabola converge: Mosè e i profeti sono le Scritture, indicano la storia della salvezza. Solo un’apertura a questo ascolto può cambiare la vita e far fiorire un modo diverso di impostare le relazioni con gli altri: dall’indifferenza alla compassione, dall’insensibilità alla condivisione. La voce dei profeti continua a farsi presente nei testimoni di giustizia e di pace. In modo feriale e silenzioso con il forte appello che deriva dal loro impegno richiamano ad uno stile evangelico di vita. La domanda che la parabola apre è se siamo sensibili all’ascolto del grido dei poveri e all’appello dei profeti.

Alessandro Cortesi op