Domenica 12 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
2Re 5,14-17 Sal 97 2Tm 2,8-13 Lc 17,11-19
Di Figlie della Chiesa🏠
In questa liturgia della XXVIII Domenica dell’anno C le letture ci aprono ad una visione profonda e inesauribile della vita, nella misura in cui decidiamo di intensificare il nostro cammino di fede e apriamo il cuore a un profondo senso di gratitudine.
Non è un caso che la prima lettura ci mostri che Naamàn, sulla parola di Eliseo, si immerge 7 volte nel fiume Giordano e guarisce dalla lebbra.
L’acqua è un elemento catartico, purifica il corpo ed è simbolo dello spirito che vivifica; disseta, depura e, insieme allo Spirito, ha il potere di abbracciare, rinfrescare, risanare sia l’anima che il corpo nella loro imprescindibile unità. Quando essa scaturisce da una fonte è limpida, ossigenante; e quando siamo nella calura la sua freschezza ci ristora.
Ci siamo mai soffermati ad osservare sorella acqua? San Francesco ci dice che essa è preziosa, umile e casta. Così umile e casta che non la notiamo granché… eppure è così vitale!
In genere diamo per scontato che ci sia, ma, se venisse a mancare, la nostra fine sarebbe sicura!
Nel salmo 41 si canta l’anelito della cerva verso questa sorgente d’acqua: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio”. La sete d’acqua è la metafora per descrivere l’arsura del cuore e il bisogno profondo che abbiamo dell’Assoluto; il desiderio di vivere un abbraccio risanante, autentico e radicale con Lui.
Gesù quando incontra la Samaritana al pozzo le fa scoprire la sorgente d’acqua viva che può zampillare in lei per la vita eterna, perché l’acqua che sgorga dalle profondità del cuore è vivente e vibrante. Scoprire questa sorgente interiore è risanante, perché da qui può scaturire la guarigione e la liberazione da condizionamenti, pregiudizi, orientamenti che ci impoveriscono.
Possiamo chiederci: sappiamo riconoscere i blocchi interiori che corrompono le nostre migliori aspirazioni? O quali voci inseguiamo cercando disperatamente compensazioni e riempitivi di bassa lega? Questa è la lebbra che ci frantuma interiormente e ci rende bisognosi di guarigione e salvezza.
Saper vedere non solo le nostre lacune superficiali, ma anche quelle profonde; desiderare di colmarle con la luce dello Spirito, non è un passaggio che necessariamente tutti abbiamo la consapevolezza di poter fare.
Nel Vangelo dei 10 lebbrosi tutti vengono guariti, ma uno solo è tornato a ringraziare.
La gratitudine è come l’acqua: più il nostro cuore è grato, cioè più ci immergiamo nell’acqua della vita, preziosa, umile e casta e maggiore diventa la nostra possibilità di vedere in modo ampio e profondo ciò che accade.
La vita ci attraversa, ci fa pulsare il cuore; è grazia gratis data che ci raggiunge senza merito e, se ci accorgiamo di lei, impariamo a ringraziare con tutto il cuore, sempre e comunque, perché non c’è niente di più grande della vita.
Si tratta di lavorare sul nostro piccolo ego condizionato, che spesso sa vedere solo ciò che manca, in una lamentazione continua; e aiutarlo a spegnere ogni pretesa per lasciar scorrere un nuovo sangue, che cambia la visione della vita. Non è facile cambiare prospettiva, perché spesso la parte egoica di noi ama stare attaccata a cose che ci tengono prigionieri di ciò che ci sembra dovuto, o che diamo per scontato; e così rimaniamo incastrati in un modo di pensare gretto e meschino.
Gesù mette in risalto che tra i lebbrosi solo uno su 10 è tornato indietro, solo uno cioè è stato veramente risanato, è uscito dalla prigionia mentale del dovuto e dello scontato… ed è uno straniero!
Solo uno, lo straniero, mostra fede profonda in Colui che lo ha risanato e solo lui, infatti, torna indietro per manifestare a Gesù la gioia di ciò che gli è successo, ringraziando con tutto il cuore.
Gli altri 9 sono guariti nel corpo ma non nell’anima, forse perché considerano l’avvenimento come un semplice colpo di fortuna da tenere ben stretto; si limitano al fatto esterno ma non riescono a gustare una guarigione profonda e liberante. Infatti non è la guarigione fisica che salva, ma la fede che è sguardo aperto sulla grandezza ineffabile dell’esistenza ricevuta gratuitamente
L’acqua della vita che sgorga dal Cristo circola in noi gratis, ci guarisce in profondità nella misura in cui ci leghiamo a Lui in una fiducia incondizionata.
Un esempio di vera gratitudine ce la dona Etty Hillesum, uccisa a soli 29 anni ad Auschwitz nel novembre del 1943; essa esprime una profonda gratitudine per la vita nonostante le atroci sofferenze che ha vissuto e lo fa con una consapevolezza spirituale inedita, perché riesce a captare la bellezza intrinseca all’esistenza e a trovare la gioia e il senso della vita anche nelle situazioni più avverse. Nel suo Diario ci insegna che la gratitudine non la troviamo nelle circostanze che viviamo, ma in ciò che questi eventi ci permettono di diventare.
La gratitudine, quindi, è terapeutica, perché imparando a dire grazie in ogni circostanza ci immettiamo nel “gratis” di Dio, nella sua Presenza libera e incondizionata e, mentre pronunciamo la parola grazie con tutto il nostro essere, la grazia cresce in noi, ci risana nel cuore e nel corpo, ci orienta verso un’altra visione delle cose, ci conduce al cuore del nostro esistere, che è fatto di fede, di lode e di gioia, nel tuffo risanante di un abbraccio inesauribile.
Tutto questo ci trasforma e ci fa scoprire CHI realmente siamo agli occhi di Dio.



