Domenica 26 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 35,15-17.20-22 Sal 33 2Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14
Di Alessandro Cortesi🏠
Riportando la parabola di Gesù del giudice iniquo e della vedova (cfr. Lc 18,1-8) Luca aveva indicato la preghiera come l’attitudine del povero che sta davanti al Dio che ascolta il grido delle vittime e si fa vicino per rendere giustizia. Nel vangelo di Luca il tema della preghiera trova particolare attenzione insieme alla povertà: pregare è questione centrale del rapporto con Dio e respiro della vita, di chi nella sua fragilità si apre alla fiducia in Dio Abbà che ‘ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura la supplica dell’orfano’.
Luca presenta un’altra parabola in cui sono contrapposti due persone: un fariseo e un pubblicano. Due modi diversi di atteggiarsi nella preghiera, più profodnamente due modalità di intendere la religione e di stare davanti a Dio. Con tale contrasto Gesù pone una parola di provocazione verso modi falsi di intendere la preghiera ed il medesimo rapporto con Dio. Nell’esempio del pubblicano suggerisce come stare davanti a Dio nella verità della propria vita: nel riconoscersi poveri e nell’affidarsi. E’ importante come la parabola viene introdotta, perché è rivolta a chi si crede giusto e pretende di non avere debolezze e povertà.
“Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Gesù presenta quindi una dura critica a chi ritiene di essere giusto. Il fariseo e il pubblicano si recano al medesimo luogo, nel tempio ma vi si recano con sentimenti profondamente diversi.
La preghiera del fariseo esprimeperaltro una tensione sincera di comportarsi secondo la legge. Era attitudine propria del gruppo dei farisei, gruppo laicale al tempo di Gesù, il coltivare un’adesione convinta alla legge e riconoscere tutti gli insegnamenti tesi ad applicare la Torah alle situazioni ordinarie e quotidiane della vira. L’osservanza della legge trovava espressione in una minuzie di attenzioni e regole che recavano tuttavia il rischio di distogliere dal cuore dall’essenziale da un rapporto con Dio nell’amore. La preghiera del fariseo è in qualche modo specchio della vita di un uomo religioso e impegnato ma freddo e ripiegato su di sé, preoccupato della propria grandezza fino al punto di divenire indifferente rispetto all’altro: il suo volgersi a Dio si accompagna con uno sguardo di superiorità ed esclusione verso i poveri. E’ la preghiera del ricco che ritiene la condizione della povertà e del peccatore una condizione da disprezzare. La sua è una vita buona e impegnata e tutto ciò non viene criticato. Tuttavia la sua preghiera manifesta un atteggiamento di fondo in cui il centro rimane il suo operare: le parole del suo rivolersi a Dio manifestano orgoglio per essere a posto e attesa di avere un riconoscimento della propria grandezza. La sua preghiera è presentazione a Dio dei suoi buoni comportamenti avvertiti come possesso e come successo: a Dio non chiede nulla, presenta solo la sua giustizia. E’ in fondo un tentativo di piegare Dio alla sua grandezza piuttosto che un chinarsi alla bontà di Dio stesso. La sua vita, così impegnata sul versante religioso, si nutre di un atteggiamento di disprezzo nei confronti degli altri ‘ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri disonesti e adulteri…’.
D’altra parte sta la figura dell’esattore delle tasse, il pubblicano, un uomo segnato dal peccato: il suo era un mestiere mal visto, a servizio della potenza occupante romana nella Palestina del tempo. I pubblicani avevano cattiva fama. Egli non è a suo agio nel tempio, luogo di culto. La sua preghiera è una semplice invocazione: ‘Dio, abbi pietà di me peccatore’. E’ un’implorazione, non articolata, ma in poche parole esprime il cuore dell’attitudine che Gesù chiede ai suoi: porre al centro Dio e la richiesta di essere accolto e perdonato, non la propria autosufficienza e la propria coerenza. L’esattore delle tasse è esempio di sincerità, di consapevolezza della sua condizione di povertà e del suo bisogno di essere guarito. Nel suo rivolgersi senza difese, nella verità della sua vita, si pone nelle mani di Dio e a lui affida tutto. Sa di non farcela con le sole sue forze e per questo accoglie la misericordia come dono. E’ senza possessi propri e non è prigioniero, come il fariseo, di una sua giustizia che impedisce di guardare oltre.
L’agire di Dio è dono di cambiamento e di nuova vita, è possibilità di un nuovo rapporto con Lui. “Io vi dico: questi tornò a casa giustificato”. In questo senso la preghiera, questo stare dvanti a Dio nella sincerità e a mani aperte, è esperienza di accoglienza di dono e di salvezza nello scoprirsi accolti, rialzati, amati.
Alessandro Cortesi op



