Domenica 2 Novembre (COMMEMORAZIONE – Viola o Nero)
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa II)
Is 25,6.7-9 Sal 24 Rm 8,14-23 Mt 25,31-46
Di Don Marco Ceccarelli 🏠
- Testi di riferimento: Qo 11,9; 12,14; Sap 1,13-15; Is 25,8; 26,19; Os 13,14; Mal 3,14-18; Mt
25,31-46; Gv 5,21; 10,29; 11,24-26; 17,2; 1Cor 3,13; 4,5; 6,14; 15,20-24.35-44.51-53; 2Cor 4,16-
18; 5,10; Fil 3,21; 1Ts 4,13-18; 2Ts 1,6-7; 2Tm 4,1; Eb 4,13; Ap 20,14
- I fedeli defunti. Per l’importanza che questa ricorrenza ha presso il popolo cristiano le viene
“concesso” di prevalere sulla liturgia domenicale. Tale celebrazione è in diretto collegamento con la
solennità del giorno precedente di “Tutti i Santi”. Innanzitutto va notato che la commemorazione
riguarda i “fedeli” defunti, cioè quei nostri fratelli nella fede con cui continuiamo ad avere un legame per mezzo del Battesimo. È in questo legame che trova il suo senso questa ricorrenza e ogni
commemorazione che si effettua nella Chiesa riguardo i defunti. Se nel giorno precedente abbiamo
celebrato la solennità di tutti i Santi, di tutti quei nostri fratelli che già sappiamo essere nella casa
del Padre, perché hanno raggiunto quella condizione di santità che permette di stare alla presenza
del Santo, oggi preghiamo per quegli altri nostri fratelli che (non sappiamo se) ancora non vi sono
giunti. C’è un vincolo superiore a tutti i nostri legami terreni, che ci viene dall’essere parte dell’unico corpo di Cristo nella Chiesa, e che ci spinge a collaborare gli uni per gli altri per la nostra comune salvezza. Siamo un unico corpo e abbiamo ricevuto la stessa vocazione alla santità e alla partecipazione della gloria celeste. - Una vita che non finisce. In secondo luogo la ricorrenza odierna si radica in quella certezza che
c’è una vita che continua dopo la morte. Commemorare nel nostro caso non significa richiamare alla mente coloro che hanno lasciato questa vita, quasi come per farli rivivere in noi. Non è come
scrivere su un muro “Federico vive”, semplicemente per affermare che vogliamo ricordarlo perché
gli abbiamo voluto bene. È invece l’affermazione che con la morte non finisce tutto; al contrario. È
la vita terrena ad essere parziale, temporanea, imperfetta. I morti sono ancora vivi. Se non fosse così
non avrebbe senso la preghiera per essi. Anche se il corpo è finito al cimitero e magari si è ormai
disintegrato, rimane un’anima immortale. La fede nell’immortalità dell’anima non è un residuo platonico, ma è profondamente biblica e cristiana. Certamente noi crediamo anche alla risurrezione dei
corpi, nonostante il loro dissolvimento, perché quel Dio che ha avuto potere di crearli dal nulla ha
anche il potere di richiamarli in vita. Ma in attesa di ciò rimane l’anima immortale che può già essere nella gloria del cielo o invece in una fase di purificazione. Quando preghiamo i santi – e li preghiamo appunto perché li crediamo al cospetto di Dio – sappiamo che quei santi vivono soltanto
nella loro anima e non ancora con quel corpo che sarà restituito alla risurrezione finale. Ma per
quelle anime dei fedeli defunti che ancora non sappiamo essere in cielo possiamo (e dobbiamo) fare
ancora qualcosa per loro, perché continuano a vivere e ad essere unite al corpo mistico di Cristo. - Come i santi possono intercedere per noi in forza dell’appartenenza all’unico corpo mistico di
Cristo, così noi, se siamo santi, possiamo aiutare i nostri fratelli defunti. Possiamo fare del bene a
coloro che pur essendo morti, partecipano del nostro stesso corpo. C’è una unione e una comunione
fra i battezzati che è più forte di qualsiasi legame umano. Se preghiamo per i genitori, i fratelli, i figli, i parenti, dobbiamo farlo con la consapevolezza che essi sono innanzitutto nostri consanguinei
in Cristo. Inoltre, non è soltanto, né in primo luogo, la preghiera quello che aiuta i fedeli defunti, ma
la nostra santità. Essere santi significa essere “sani” dal punto di vista cristiano, cioè essere in grazia
di Dio, essere pienamente nella volontà di Dio. Come in un corpo un membro sano fa bene a tutto il
corpo, mentre un membro malato va a discapito di tutto, lo stesso avviene anche per quel corpo costituito dai battezzati, siano essi nella carne o fuori dalla carne. La mia santità o la mia peccaminosità influiscono in un senso o nell’altro sull’intero corpo mistico. Si tratta della comunione dei santi
nella carità. Il senso della preghiera e delle indulgenze per i defunti sta tutto qui. Perciò se vogliamo
veramente pregare e aiutare i defunti iniziamo da noi stessi; convertiamoci, facciamoci sanare da
Cristo. - Le tre possibili liturgie della Parola, da scegliersi in alternativa, sottolineano, in un modo o
nell’altro, altri due aspetti della realtà post terrena, cosiddetta “escatologica”. Si tratta del giudizio a
cui tutti saremo posti e della risurrezione dei corpi. Sono due punti centrali della fede cristiana che
troviamo anche nel “Credo”. Come dice S. Paolo, «tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di
Cristo per essere retribuiti per le opere compiute nel corpo» (1Cor 5,10). Il corpo è il luogo in cui il
cristiano svolge la sua liturgia di santità, in cui egli rende un culto a Dio (Rm 12,1). Quello stesso
corpo che risorgerà alla fine dei tempi. Non è importante perciò soltanto l’anima, ma anche lo stesso
corpo con cui noi compiamo determinate opere, che dovrebbero essere sempre opere d’amore, a
somiglianza di Cristo e del Padre. Con questo stesso corpo possiamo amare o fare del male (cfr. Gc
3,8-9), possiamo rendere gloria a Dio o farci noi stessi dio. Ma con la morte si presenta un giudizio
su tutto questo. La verità del giudizio finale ci dice che il bene e il male esistono e che le nostre opere non sono indifferenti, e che c’è un Dio che non è indifferente al bene e al male che compiamo.
Questa verità, lungi dal rappresentare uno spauracchio terrificante, è invece fonte di grande consolazione. Sapere che c’è un Dio che ci è Padre e che non è indifferente a quanto ci capita – benché a
volte nelle vicende della vita possa sembrare assente o silente – ci rassicura che non è inutile fare il
bene piuttosto che il male, rinunciare a rispondere al male con il male, accettare anche di ricevere
ingiustizie. Le realtà della morte, del giudizio e della risurrezione finale sono lì a ricordarci che le
situazioni di questa vita non sono un assoluto, che tutto passa e che solo chi è in Dio e solo ciò che
abbiamo fatto in Dio rimarrà in eterno. Le sofferenze, le ingiustizie, gli orrori che possiamo incontrare in questa vita non sono né l’ultima realtà né quella definitiva. - Catechismo della Chiesa Cattolica
- CCC 953: Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella carità ha ripercussioni benefiche per tutti,
in forza di questa solidarietà con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla comunione dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione. - CCC 1469: Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, non guarisce
soltanto colui che viene ristabilito nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri. Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il peccatore viene fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra
tutte le membra vive del corpo di Cristo, siano esse ancora nella condizione di pellegrini o siano
già nella patria celeste.



