Domenica 9 Novembre (FESTA – Bianco)
DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE
Ez 47, 1-2.8-9.12 Sal 45 1Cor 3,9-11.16-17 Gv 2, 13-22
Di Don Marco Ceccarelli 🏠home
Testi di riferimento: Es 34,14; 1Re 8,27; 18,21; 2Re 17,33; 21,4-5; 23,6; Sal 69,10; 119,139; Is
66,1; Ger 7,11; Ez 36,25; Os 14,8; Zc 14,21; Mal 3,1-4; Mt 6,24; 18,20; Gv 4,21; At 7,48-49; Rm
12,1; 1Cor 6,19; 10,21; 2Cor 6,16; Ef 1,22; 2,19-22; Col 2,29; 1Tm 3,15; Eb 2,6; 1Pt 2,5; Ap 3,15
- La festa odierna.
- La cattedrale di Roma. In tutte la Chiese cattoliche il 9 Novembre si celebra la dedicazione della
Cattedrale di Roma, la Basilica Lateranense. Ogni Chiesa, ogni cristiano, ha una madre, perché nessuno si può dare la fede da solo (CCC 166), ma la riceve da una Chiesa, da cristiani che ci testimoniano e ci trasmettano la fede. Così se ogni chiesa locale ha una sua festa particolare che riguarda la
propria cattedrale, la chiesa madre di Roma deve essere celebrata in tutte le Chiese del mondo. Perché la Chiesa di Roma è caput et mater di tutte le altre Chiese. La Basilica Lateranense è la Chiesa
madre perché in essa risiede la cattedra del vescovo di Roma, successore di Pietro, su cui Cristo ha
fondato la sua Chiesa. La cattedra è il simbolo dell’insegnamento. Il cristianesimo è la “via” di Cristo, il retto modo di procedere secondo l’insegnamento di Cristo, piena rivelazione di Dio. Nel collegio apostolico Pietro svolge il ruolo di fondamento dell’unità. La comunione e l’unità esigono un
“uno”, un unico punto su cui reggersi. I successori di Pietro prolungano il ministero pietrino. A Pietro Gesù ha dato un compito particolare per il servizio alla comunione e all’unità della Chiesa. I
successori di Pietro, i vescovi di Roma, i papi, continuano da duemila anni ad esercitare il centro di
unità di tutti i vescovi e le loro Chiese nella salvaguardia della retta fede e della retta dottrina che
Cristo ci ha lasciato. Nonostante tutti i problemi e le divisioni verificatisi in questi duemila anni,
nessuna altra Chiesa come quella cattolica, fondata sulla roccia di Pietro, può vantare oggi un’unità
così vasta come quella di circa un miliardo di persone che si riconoscono nell’unica Chiesa cattolica
romana. - La chiesa in quanto tempio ci ricorda che il vero tempio è la Chiesa di Cristo composta dai battezzati che rimangono uniti al fondamento di tale edificio (vedi seconda lettura e testi di riferimento).
Appartiene perciò alla Chiesa di Cristo chi è fondato sul magistero del Papa e del collegio apostolico e vi rimane unito. I cristiani sono le pietre vive (1Pt 2,5) dell’edificio del tempio di Dio edificato
sopra il fondamento degli apostoli (Ef 2,20-22). L’appartenenza alla Chiesa non può essere vissuta
in maniera individualistica, perché ogni pietra di tale edificio è unita a tutte le altre e tutte insieme
sono appoggiate sull’unico fondamento. Chi non poggia su tale fondamento potrà essere una pietra
molto bella e preziosa, ma non appartiene al tempio di Cristo.
- Il Vangelo.
- L’episodio descritto nel brano odierno funziona, nel contesto del Vangelo di Giovanni, come un
“segno” con il quale si sintetizza ciò che aveva fatto la predicazione profetica contro il sincretismo
giudaico che teneva insieme il culto a Jahvè e quello ad altri dei. Gli antichi profeti avevano condannato a lungo l’uso di coltivare contemporaneamente, persino all’interno di uno stesso santuario,
il culto verso il Signore e verso gli dei di altri popoli. Cacciando dal tempio i venditori Gesù opera
un segno con il quale si pone sulla scia di quanto avevano fatto e insegnato i profeti, vale a dire che
il culto, l’adorazione, l’obbedienza a Dio non può essere condivisa con nient’altro. Dio è unico e solo lui va adorato. Ciò che Gesù afferma nel v. 16, a interpretazione del suo gesto, è una citazione di
Ger 7,11 dove Geremia rimproverava il popolo di andare a prostrarsi davanti al Signore nel tempio,
e allo stesso tempo di continuare a peccare e a rendere culto a Baal. Gesù è il profeta mandato da
Dio per purificare il tempio nel quale il Signore vuole essere riconosciuto e adorato come l’unico
Dio. Gesù manifesta così lo “zelo” di Dio (v. 17), cioè la sua “gelosia” per il suo popolo e per la
quale non era possibile far convivere alcun idolo insieme al Signore. Con questo segno Gesù richiama alla fedeltà al Dio unico. Allo stesso tempo lascia intravedere di essere lui stesso Dio (cfr.
Mal 3,1ss.). - L’inconciliabilità fra Dio e gli idoli. La comunione con Dio non può essere condivisa con nessun
idolo. Dio è “geloso” (Es 34,14); non è possibile che egli abiti nella stessa casa con altri dei. La cosa peggiore è zoppicare su due strade, è essere né caldo né freddo, è volere la protezione del Signore
e la sicurezza degli idoli, è coltivare una mentalità secondo il mondo e mostrarsi zelanti per Dio.
Questa schizofrenia finisce per essere autodistruttiva perché è impossibile vivere nella doppiezza
radicale senza finire pazzi. È il problema di quelli che rimangono nella Chiesa a metà, continuando
magari a coltivare peccati gravi, o in profonda discomunione con la volontà di Dio. Per questo Dio
manda dei profeti, manda il Profeta, a compiere una separazione per il nostro bene. - Ma il segno di Gesù serve anche per annunciare l’inaugurazione di un nuovo tempio, di un nuovo
luogo dove si può incontrare Dio. E questo nuovo tempio sarà il suo stesso corpo. Mentre i templi
di pietra sono inevitabilmente soggetti a deperimento e a scomparire, il corpo di Cristo, dopo la sua
distruzione con la morte in croce, risorgerà e rimarrà incorruttibile. Il tempio di Gerusalemme era la
casa di Dio, il luogo in cui Dio era presente e l’uomo poteva incontrarsi con lui. Ma d’ora in poi il
luogo in cui l’uomo può incontrare Dio è la persona di Cristo. - Anche nell’Antico Testamento si riscontra la consapevolezza che non solo Dio abitava nel tempio
di Gerusalemme, ma nel suo stesso popolo. Israele era anch’esso il santuario di Dio, come si desume chiaramente da Sal 114,2. Quando poi il tempio sarà distrutto dai babilonesi, Jahvè andrà in esilio insieme ai deportati. Dio cammina in mezzo al suo popolo; Dio abita in mezzo al suo popolo.
Con Cristo questa realtà giunge al suo compimento. Dio “abita corporalmente” in Gesù (Col 2,9).
Ma questi ha voluto essere una sola cosa con la sua Chiesa (Ef 5,31-32), il capo con il corpo (Ef
1,22); di modo che non si può parlare di Cristo senza la Chiesa, né della Chiesa senza Cristo. Così
la Chiesa, la comunità dei credenti, è il vero tempio (seconda lettura), il vero luogo dove Dio abita
in mezzo agli uomini e dove gli uomini possono incontrarlo.



