Domenica 23 Novembre (SOLENNITA’ – Bianco)
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
2Sam 5,1-3 Sal 121 Col 1,12-20 Lc 23,35-43
Di Figlie della Chiesa 🏠home
Siamo nell’ultima domenica dell’anno liturgico e lo terminiamo con la grande solennità di Cristo Re, che proprio quest’anno compie 100 anni, essendo stata istituita da Papa Pio XI con l’enciclica Quas primas del 1925, a conclusione dell’Anno Santo.
Il contesto era quello del primo dopoguerra, caratterizzato dalla crisi dei valori cristiani, dalla crescita dei nazionalismi, dei totalitarismi e del laicismo. Pio XI voleva riaffermare la signoria universale di Cristo sulla storia, sulle nazioni e sulla società, con lo scopo di richiamare fedeli e governi a riconoscere la regalità spirituale e morale di Cristo, contro l’idea che la religione dovesse essere confinata alla sola sfera privata.
Inizialmente la festa era collocata nell’ultima domenica di ottobre, prima della festa di Tutti i Santi; una scelta che voleva simboleggiare la regalità di Cristo già operante nella storia, al di sopra delle vicende umane. Con la riforma del calendario liturgico seguita al Concilio Vaticano II, Paolo VI nel 1969 la spostò all’ultima domenica dell’anno liturgico (cioè la domenica che precede l’Avvento). Da allora è conosciuta come Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. La nuova collocazione ne sottolinea il significato escatologico: Cristo è il compimento della storia e il Re dell’eternità.
A conclusione dell’anno C, la liturgia della Parola odierna è di una ricchezza straordinaria e ci porta a vivere concretamente quello che preghiamo nella colletta: “O Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre perché, seguendo le orme del tuo Figlio, possiamo condividere la sua gloria nel paradiso”.
Ci viene così ricordato qual è la chiamata di ogni battezzato: regnare con Lui, conformandoci a Lui nei pensieri, nelle opere e nelle azioni.
La nostra Fondatrice, Venerabile Maria Oliva Bonaldo direbbe: Imparare e Conoscere, Amare e Testimoniare il Suo amore per la Chiesa, cioè il Suo amore per ciascuno di noi.
E il gesto più eloquente del suo amore lo troviamo nel Vangelo di questa domenica.
La pericope di Luca ci porta davanti al trono regale di Gesù Cristo, che non è fatto di pietre preziose, ma di un legno infamante, di chiodi e di spine. È il segno estremo del Signore per dimostrarci il suo amore.
L’evangelista fa notare che “il popolo stava a vedere”.
Il verbo vedere, nella Bibbia, ha un significato profondo, che va oltre la semplice vista fisica; può essere interpretato come un processo che va dall’accorgersi superficialmente di qualcosa, all’osservarla attentamente, fino a giungere alla contemplazione del senso profondo, culminando in una fede matura e trasformativa.
“Il popolo stava a vedere” Cosa vedeva? Un uomo appeso alla croce come tanti altri… o davvero contemplava il Dio che i capi stavano deridendo e che volevano metterlo alla prova ancora una volta? E il Signore è ancora lì, che continua ad amare e a farsi contemplare: da chi da Lui è stato ammaestrato, da chi da Lui ha ascoltato parole di vita che danno la possibilità di guardare oltre, da chi gode beffardamente per la sua umiliazione…
Luca in questi versetti è stato davvero molto forte e ci interpella. Leggendo gli insulti di uno dei malfattori che lo mette alla prova senza ritegno e chiede di essere salvato… sembra di ascoltare le parole che anche noi diciamo al Signore quando ci rivolgiamo a Lui con preghiere che sono sulla stessa scia: “Signore, se mi fai questo, io mi converto… ti seguirò”. Tante volte non siamo diversi dai capi e dal malfattore.
E Gesù resta in silenzio, non risponde, Ama! Ecco l’esempio! non impreca, non si difende, perché Lui sa solo amare con quelle sue braccia aperte che resteranno spalancate anche quando i chiodi saranno tolti, fino a quando l’ultimo figlio non entrerà nel suo abbraccio.
Ecco, interviene l’altro malfattore… per quest’ultimo faccio riferimento a un commento di Luciano Manicardi, che così commenta:
La dizione più aderente al testo è “l’altro malfattore”. A differenza di Marco e Matteo che definiscono “briganti” (Mc 15,27; Mt 27,38.44) i due uomini crocifissi con Gesù, Luca parla di “malfattori”. Il raro termine è tipico di Luca per designare i due condannati alla crocifissione insieme con Gesù. Meglio dunque tralasciare l’interpretazione moraleggiante che ha partorito il “buon ladrone” e restare fedeli al testo evangelico che assicura che quell’uomo non abita la sfera della bontà, ma della malvagità, come specifica la prima parte del termine. Quest’uomo è un mal-fattore, uno che ha operato il male, senza che sia specificato il delitto o i delitti di cui si è macchiato. Il testo lo definisce “l’altro” (Lc 23,40) malfattore, in quanto prende la parola dopo che il suo compagno di condanna ha bestemmiato Gesù. Dunque così, semplicemente, lo si può chiamare: l’altro malfattore. Accanto poi alla dimensione del “male”, Luca sottolinea quella del “fare”, presente nella seconda parte del composto: “mal-fattore”, evocando a più riprese il fare o non-fare il male, l’agire o non-agire ingiustamente. Si pensi, in particolare, alle parole di Gesù che invocano il perdono per coloro che “non sanno quello che fanno” (v. 34) e a quelle dell’altro malfattore che, rivolgendosi al ladrone che bestemmia Gesù, gli ricorda che la pena a cui essi sono sottoposti è commisurata a quanto hanno commesso: “riceviamo il degno [castigo] di ciò che abbiamo fatto”, mentre Gesù “non ha fatto nulla di male” (v. 41). (L. Manicardi, commento tratto dal sito del Monastero di Bose in https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/15304-l-altro-malfattore-figura-del-discepolo)
Oltre a difendere Gesù per la sua innocenza, l’altro malfattore lo prega di ricordarsi di lui. Non pretende nulla, ma si rimette alla misericordia del Signore Questo lo rende libero di guardarsi dentro e di riconoscersi uomo bisognoso di perdono. Davanti a queste parole il Signore non resta indifferente, risponde! e continua la sua missione: testimoniare l’amore del Padre verso i propri figli, tanto da dire: “Oggi con me sarai nel paradiso”.
Davanti a questo secondo malfattore, mi sorge una domanda: so guardarmi dentro per accorgermi del mio bisogno di perdono? E soprattutto, so chiederlo? Sono convinto che il Signore ha allargato le sue braccia anche per me?
Questa festa di Cristo Re, che fa da ponte tra l’Anno liturgico che si conclude e il nuovo anno che inizia con il tempo d’Avvento, ci ricorda che tutte le Parole di nostro Signore ci riconducono all’unico atteggiamento importante da coltivare: l’amore.


