Don Paolo Zamengo”Il mio regno è sulla croce”

Domenica 23 Novembre (SOLENNITA’ – Bianco)
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

2Sam 5,1-3   Sal 121   Col 1,12-20   Lc 23,35-43

Di Don Paolo Zamengo

Il mio regno è sulla croce E mi commuovo leggendo di Gesù, a cui diamo
oggi il titolo di re, alla fine dell’anno liturgico. Ma perché lo chiamiamo Re?
Qui sta il problema e qui sta la differenza. Perché penso che Gesù non sia
cambiato e che, oggi come allora, lui rifugga da certe immagini di re e di
regno.
Dal monte della condivisione del pane e dei pesci o dal piccolo monte, oggi
evocato del Calvario, voi certo ricordate il tripudio, quasi un delirio
collettivo e Gesù come se avvertisse il pericolo di un fraintendimento è scritto: “Ma Gesù, sapendo che
stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo”.
Re a quella maniera Gesù non ci stava. Non era il re dei troni; anche se poi noi di troni glieli abbiamo dati
scolorendo però la regalità vera, quella di un altro monte, il Calvario. E da quella altura della croce, Gesù
non fuggì via, anche se glielo urlavano da sotto: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso e noi”.
E noi? Noi dovremmo sostare a lungo sotto la croce che oggi Luca ci ha fatto rivivere, per capire cosa
diciamo con quelle parole: “Gesù re dell’universo”. E come non commuoverci al dialogo tra condannati? E
chi l’avrà sentito quelle parole? Un grumo di parole, quasi l’ultimo respiro dei crocefissi. Tutti proviamo
una immensa gratitudine per chi, quel grumo di parole se le è stampate nel cuore e poi ce le ha raccontate.
Il ladrone, che noi chiamiamo cattivo, alla fine era rimasto muto ma non accade anche a noi? Ci resta
l’immagine gridata, quella di una regalità onnipotente dei potenti della terra. Loro aspirazione era salvare
se stessi, i loro interessi e avevano un occhio di privilegio per quelli del loro cerchio magico: “Salva te
stesso e noi”. Fu il ladrone cattivo il primo a parlare a Gesù da vicino sulla croce.
Poi la contestazione dell’altro, quello che noi chiamiamo il buon ladrone: rimprovera il compagno e apre un
dialogo di una intimità inenarrabile che stupisce e insieme emoziona solo se pensiamo da dove si
parlavano. Non potevano guardarsi negli occhi, ma si dicevano parole di vicinanza. E riuscivano a sentirsi
dentro quel vociare disumano. Si scambiavano parole di umanità e mi sembra persino di tenerezza.
Pensate che il ladro chiama Gesù con il suo nome, il suo nome e basta, senza titoli, perché il titolo di Gesù
era la passione per gli altri e l’eco di quella passione era giunta fino a lui: “Gesù, ricordati di me quando
sarai nel tuo regno”. Gesù gli rispose: “ln verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.
E Gesù che si sente chiamare con tenerezza: assistito, diremmo, nella morte da un malfattore, sollevato da
quelle parole che erano per lui come la prova umana che non aveva camminato invano. Tutto poteva
sembrargli un fallimento: dove è il regno? dove il sogno? dove la strada aperta sulla terra? Non le folle,
nessuno dei suoi. Lui disceso nella somiglianza con gli uomini sino a provare il fallimento. Lui si sente
sfiorato dalla tenerezza di un ladrone.
Si accende anche su un legno un brivido di relazione: “ln verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.
Con me. E a dirci – ma non con le parole – che anche nel fallimento può aprirsi un varco, una nicchia
persino per Dio. Questo è il regno: combattere abbandoni e solitudini, costruire relazioni, uscire
dall’indifferenza, vivere una vera solidarietà, costruire un mondo più umano nella fraternità e nella pace,
toccare e sanare le ferite. “Regnò dal legno” canta la Liturgia. Il mio Dio è un Dio ferito”.
Non credo che Gesù potesse passare danzando per questo mondo senza essere toccati dal suo
dolore…Pensate che proprio pochi giorni prima della sua crocifissione, il giorno in cui gli dissero che a
cercarlo era un gruppo di Greci, a Gesù venne spontaneo dire: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti
a me”.

Capisco ora che cosa vuol dire “re dell’universo”: la vera attrazione, l’attrazione per tutti è quella
dell’amore. Non quella del potere che abbaglia e seduce e manovra le folle che alla fine furono indotte a
scegliere Barabba. La vera attrazione è la relazione, è la cura.
Non so se, ascoltando il ladrone in quel momento di intimità sulla croce, a Gesù sarà venuto spontaneo
pensare alle parole “Attirerò tutti a me” che si stavano avverando. Il primo attirato è stato quel ladrone, il
primo di un universo – e ci siamo anche noi. A partire dal legno della croce ci sembra di intuire ora che cosa
voglia dire re, che cosa vuol dire regno, che cosa vuol dire venga il tuo regno. Ce lo ha insegnato proprio
Gesù dalla croce.