Domenica 23 Novembre (SOLENNITA’ – Bianco)
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
2Sam 5,1-3 Sal 121 Col 1,12-20 Lc 23,35-43
Di Don Massimo Grilli Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano 🏠home
È stato ripetuto più volte, e in diversi contesti , che l’immagine di Dio dipende spesso dalla percezione che di lui si ha in una determinata epoca e in un determinato contesto culturale. La festa di Cristo re non è esente da questa ambiguità. Se, da una parte la Bibbia non lascia dubbi sul fatto che Dio sia re dell’universo, dall’altra, parlando della regalità di Dio, la Bibbia presenta delle caratteristiche che esulano totalmente dalla percezione che della regalità ha l’uomo moderno. Cosa significa, allora, celebrare oggi la festa della regalità di Cristo? Come percepiscono i due Testamenti una tale verità ?
Prima lettura: 2 Sam 5,1-3
È noto che l’introduzione della monarchia in Israele non fu affatto un’acquisizione pacifica. Fu, piuttosto, un processo travagliato. I libri di Samuele presentano due racconti disomogenei. In uno è il popolo che chiede a Samuele un re, sul modello dei popoli vicini. Samuele è titubante a motivo dell’unica regalità degna di questo nome: quella di YHWH. Secondo questo racconto, dunque, la monarchia nasce in Israele grazie alla paura del popolo di fronte a un attacco di popoli nemici, capaci di mettere in pericolo la stessa sussistenza del giovane regno. Invece, in un altro capitolo dei libri di Samuele, è Dio stesso che ordina al profeta Samuele di consacrare Saul come primo re di Israele. Due diverse tradizioni, dunque, che testimoniano la complessità della questione e, in fondo, un conflitto mai risolto, che contrapponeva il partito monarchico a circoli giudaici più fedeli alla tradizione dei Padri. In ogni caso, il compito dell’unto del Signore è stato sempre visto in Israele come una funzione delegata, in obbedienza a YHWH, il vero sovrano. L’unzione sacrale faceva del re un garante della giustizia, al posto di YHWH, un difensore degli orfani e delle vedove, protettore dei deboli e degli indifesi. In questo loro compito, i re di Israele falliscono, e il momento dell’esilio diviene il momento supremo del giudizio pronunciato su una monarchia ingiusta e iniqua.
Da quel fallimento nasce l’attesa di un re giusto che governi i poveri di Israele con rettitudine. Di questa attesa si trovano testimonianze sia nella letteratura intertestamentaria sia nel Nuovo Testamento, che tuttavia offre una visione tutta sua della regalità di Dio. Una visione di cui Gesù è il testimone accreditato. Il racconto della crocifissione secondo Luca, da cui è tratto l’odierno passo del Vangelo, è una voce sublime di questo importante aspetto della fede cristiana.
Il Vangelo: Lc 23,35-43
Sotto molte dimensioni, il racconto di Luca sulla crocifissione e morte di Gesù non diverge da quello degli altri due Sinottici, ma alcune differenze sono notevoli.
Prima di ogni altro aspetto, Luca ricorda che Gesù viene crocifisso con i malfattori, secondo la parola di Is 53: è stato annoverato tra gli iniqui (senza legge). Solo Luca interpreta la passione alla luce di Is 53 ed è sintomatico che, di quel testo del Primo Testamento, non si citi la funzione vicaria della morte del servitore né l’esaltazione ad opera di Dio. La croce per Luca è la prova suprema della solidarietà di Dio con il mondo dei peccatori: da qui scaturisce la vittoria di Dio e la sua gloriosa regalità. E non solo perché Gesù viene annoverato tra gli iniqui, ma soprattutto perché vince la triplice tentazione proveniente dai capi del popolo, dai soldati e da uno degli stessi malfattori, tentazione che si esprime sempre con lo stesso invito: salva te stesso!
Mentre Marco sottolinea maggiormente l’impotenza di Gesù, Luca gli riconosce la possibilità di salvarsi e insiste sull’invito fatto a Gesù di sfruttare a proprio vantaggio la sua regalità. Gesù quindi può salvarsi, ma non lo vuole. Per Luca, Gesù resta solidale con l’uomo peccatore fino in fondo e, così, manifesta il paradosso della sua regalità. In questo senso, suonano del tutto appropriate le parole di Bonhoeffer: «La morte di Gesù crocifisso come un delinquente mostra che l’amore divino trova la strada per arrivare fino alla morte del delinquente… Dio si pone a fianco dell’uomo vero e del mondo reale contro tutti i loro accusatori… Dinanzi a qualche minaccia o a qualche occasione inaspettata, la grandissima maggioranza degli uomini mostra come la paura, la cupidigia, la debolezza di carattere o la brutalità siano la molla delle loro azioni… Ma l’uomo onesto, che vede e penetra tutto ciò, che si allontana disgustato dagli uomini lasciandoli a loro stessi, che preferisce coltivare il suo orticello anziché avvilirsi partecipando alla vita pubblica, soccombe al pari del malvagio alla tentazione di disprezzare gli uomini… Dio colloca il suo amore per gli uomini al di sopra di qualsiasi sospetto di inautenticità, di dubbio, di incertezza… Gesù Cristo non è un’umanità eccelsa trasfigurata, ma è il “sì” di Dio all’uomo reale… Esiste anche un amore per l’umanità, onestamente inteso, che equivale al disprezzo; esso ha per fondamento una valutazione dell’uomo basata sui valori latenti in lui, nel suo carattere sano, la sua ragionevolezza, la sua bontà profonda… Allora accade che, con un’indulgenza forzata, si interpreta il male come fosse bene, si chiudono gli occhi sulle viltà, si scusa ciò che è reprensibile. Per una serie di motivi si teme di dire un “no” perentorio e si finisce per approvare tutto. Si ama un’immagine dell’uomo che ci si è costruita e che non somiglia ormai più affatto all’uomo vero: in tal modo, anche in questo caso, si disprezza l’uomo reale, quello che Dio ha amato».
In questa pagina acuta, Bonhoeffer coglie una grande verità che, sulla base della teologia lucana, si potrebbe riassumere in questo modo: sulla croce non è più Dio che giudica l’uomo, ma è Dio che si lascia giudicare dall’uomo, rispondendo alla violenza distruttiva con un nuovo inizio, segnato dal perdono. Questo significa che l’eterna volontà di amore di Dio non abbandona l’uomo nemmeno là dove egli si pone contro Dio. Infatti, secondo Luca, la prima parola di Gesù in croce è una richiesta di perdono per i suoi carnefici, ed è proprio dalla posizione “in mezzo ai malfattori” che scaturisce questa offerta di perdono divino.
Qui la logica asimmetrica è più palpabile che negli altri due Sinottici: il Re «giusto giudice» trova la sua morte definitiva, perché al primo posto non è più l’ordine da ristabilire, ma l’uomo da salvare, con l’unica forza capace di vincere: l’amore. Gustave Martelet ha scritto: «Il cristianesimo costituirà il superamento giustificato di ogni immagine vendicativa di Dio oppure dovrà cedere il passo a una forma di ateismo in cui l’uomo avrà perlomeno il merito di essere migliore di quell’essere senza cuore che si oserebbe ancora chiamare “Dio”». Si potrebbe anche dire che dalla fede cristiana ci si attende che sappia tracciare quel cammino che va dalla violenza universale alla riconciliazione. Allora – e solo allora – il Regno di Dio avrà dimora nel mondo degli esseri umani.



