don Lucio D’abbraccio “Vedere con gli occhi del cuore”

Domenica 14 Dicembre (DOMENICA – Viola o Rosaceo)
III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE
Is 35,1-6.8.10   Sal 145   Gc 5,7-10   Mt 11,2-11

Di don Lucio D’abbraccio🏠home

Oggi notate qualcosa di diverso nei paramenti sacri: il colore viola, segno di penitenza e attesa austera, lascia il posto al rosa. Siamo nella Domenica Gaudete, che significa letteralmente “Rallegratevi!”. La Chiesa, come una madre premurosa, ci invita a tirare un sospiro di sollievo perché il Natale è ormai vicino. Il colore rosa è proprio questo: non è ancora il bianco sfolgorante della festa piena, ma non è più il viola scuro della notte; è il colore dell’aurora, quel momento in cui il cielo si schiarisce e ci dice che il Sole sta per sorgere. Prende questo nome dall’antifona d’ingresso tratta dalla lettera di San Paolo ai Filippesi: «Gaudete in Domino semper» – «Rallegratevi sempre nel Signore». È un grido di gioia perché il Natale è vicino, perché l’attesa sta per compiersi.

Eppure, questa gioia annunciata sembra scontrarsi con la realtà dura del Vangelo di oggi. Troviamo Giovanni Battista, il grande profeta, non lungo il fiume Giordano circondato dalle folle, ma solo, al buio, in carcere. La Parola di Dio ci scuote con una domanda che risuona attraverso i secoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Giovanni, il profeta più grande nato da donna, si trova in prigione e dubita. Sì, anche Giovanni, che aveva riconosciuto Gesù al Giordano, che aveva proclamato «Ecco l’Agnello di Dio», ora esita.

Immaginate la sua situazione: aveva dedicato tutta la vita ad annunciare un Messia forte, con «la scure alla radice degli alberi», un giudice severo che avrebbe separato il grano dalla paglia. E ora si trova in una cella, mentre Gesù fuori predica misericordia, mangia con i peccatori, tocca i lebbrosi, perdona le prostitute. Non corrisponde alle aspettative. E questo ci consola profondamente, perché ci dice che il dubbio non è nemico della fede, ma può essere il luogo dell’incontro con Dio.

Quante volte capita anche a noi di sentirci come Giovanni in quel carcere? Quante volte anche noi abbiamo un’immagine di Dio costruita secondo i nostri schemi, e quando Lui agisce diversamente, ci sentiamo disorientati?

Pensate al padre di famiglia che perde il lavoro a cinquant’anni e, nonostante le preghiere, non vede una via d’uscita. Pensa: dov’è Dio in tutto questo? Pensate alla coppia giovane che vede svanire il sogno di avere un bambino. Pensate al giovane che cerca lavoro e dopo mille porte chiuse trova una strada inaspettata che non aveva mai considerato. O pensate semplicemente alla stanchezza di chi si impegna onestamente ogni giorno, ma vede attorno a sé solo furbizia e ingiustizia che sembrano vincere.

In quei momenti, il “carcere” non ha sbarre di ferro, ma è fatto di angoscia e delusione. Ci viene da chiedere: “Signore, sei davvero tu che puoi salvarmi, o devo cercare la felicità altrove?”. Dio risponde sempre, ma spesso in modo differente da come immaginiamo.

E cosa risponde Gesù agli inviati di Giovanni? Non offre argomenti teologici, non presenta credenziali messianiche, non dice “Sì, sono io, fidati”. Risponde con i fatti, con la vita concreta. Dice semplicemente: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo». Gesù ci sta dicendo che Dio non arriva con effetti speciali spettacolari, ma entra nelle ferite della nostra quotidianità per guarirle.

Gesù cita quasi testualmente la profezia di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo». È quello che profetizzava Isaia: la gioia fiorisce anche nel deserto dell’attesa, anche quando tutto sembra arido e senza speranza.

Sant’Agostino, commentando questo passo, scriveva che questi miracoli fisici sono segni di miracoli spirituali più grandi. Quando Gesù ridà la vista al cieco, vuole soprattutto aprire gli occhi del nostro cuore alla verità. Quando fa camminare lo zoppo, vuole rimetterci in piedi dopo le cadute del peccato. Quando risuscita i morti, vuole riportarci dalla morte spirituale alla vita della grazia. E aggiunge una cosa bellissima: il nostro cuore è inquieto, ma Dio a volte ci fa attendere per “allargare il nostro desiderio” e renderci capaci di accogliere una gioia più grande, non quella effimera del mondo.

La gioia cristiana non è ridere sempre o far finta che i problemi non esistano. Non è un’allegria superficiale. È la certezza che, anche dentro il problema, Dio sta operando. Vediamo questa azione di Dio nei “piccoli miracoli” di ogni giorno, se abbiamo occhi per vederli.

Pensate a quella collega d’ufficio che tutti evitavano perché acida e scontrosa: quando qualcuno ha avuto il coraggio di avvicinarsi con pazienza, è emersa una donna ferita che aveva solo bisogno di essere ascoltata. Ecco un sordo che torna a udire. Pensate a quel ragazzo chiuso nel suo mondo di videogiochi e social: quando un educatore ha trovato la chiave giusta, si è aperto alla vita. Ecco un cieco che riacquista la vista.

È la forza inspiegabile che una nonna vedova trova per sorridere ancora ai nipoti. È la pace che senti dopo una confessione sincera, quando il peso che avevi sul cuore svanisce. È la solidarietà di un vicino di casa che ti porta la spesa quando sei malato. Lì c’è Dio che fa camminare gli storpi e vedere i ciechi.

San Giovanni Crisostomo ci ricorda che il vero miracolo non è tanto quello esteriore, quanto la trasformazione del cuore. E aggiunge: «Dio non ti chiede di capire tutto, ma di fidarti». Giovanni in prigione non poteva vedere i segni, doveva fidarsi del racconto dei suoi discepoli. Anche noi spesso dobbiamo camminare nel buio, sostenuti dalla testimonianza di chi ha già sperimentato la fedeltà di Dio.

Grandi santi hanno vissuto questo. Pensiamo a Santa Teresa di Calcutta: ha vissuto per anni in quella che lei chiamava la “notte oscura” della fede, sentendosi interiormente sola come Giovanni nel carcere, eppure continuava a sorridere e a servire i poveri, perché sapeva che l’amore di Gesù era più reale dei suoi sentimenti.

Ma c’è un’altra frase di Gesù che dobbiamo custodire nel cuore: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo». In greco, skandalon significa “inciampo, ostacolo”. Gesù ci avverte: io potrei essere per te un ostacolo, se ti aspetti che io corrisponda ai tuoi progetti invece di accogliere i miei. La beatitudine sta nell’accettare un Dio che viene nella debolezza, nella mitezza, nella misericordia.

Lasciate che vi racconti una storia. Si narra di un uomo che un giorno visitò il laboratorio di un famoso tessitore di arazzi. L’uomo si fermò a guardare il lavoro dal retro del telaio. Vide solo un gran disordine: fili penzolanti, nodi grossolani, colori mescolati senza senso e intrecci caotici. Disse al tessitore: «Ma come puoi dire che questa sarà un’opera d’arte? È tutto confuso e brutto!». Il tessitore sorrise, prese l’uomo per mano e lo portò davanti, dalla parte giusta del telaio. Lì, quei fili che sembravano un disastro, formavano un disegno magnifico, un paesaggio armonioso e perfetto. «Vedi», disse l’artista, «tu guardavi il retro, dove si lavora e si fatica. Io guardavo il disegno finale».

Ecco, noi spesso siamo come quell’uomo: guardiamo la nostra vita dal “retro”, vediamo i nodi del dolore, i fili spezzati dei fallimenti, il buio del carcere di Giovanni. Ma Dio sta tessendo, proprio con quei fili, un capolavoro di salvezza. La Domenica Gaudete ci invita a fidarci del Tessitore, a sapere che il disegno c’è, anche se ora non lo vediamo tutto.

Mentre ci prepariamo al Natale, in questo tempo di Avvento che è tempo di attesa e di speranza, guardiamo a Maria Santissima. Lei è la donna dell’attesa perfetta. Ha vissuto l’attesa più grande, portando in grembo il Salvatore. Non aveva tutte le risposte, non capiva tutto il progetto di Dio – «Come avverrà questo?» chiese all’angelo – eppure ha detto . Anche lei ha avuto i suoi momenti di buio e difficoltà – pensate al viaggio verso Betlemme, al non trovare alloggio – ma non ha mai perso la gioia, perché portava Gesù dentro di sé. Ha accolto lo scandalo di un Dio che si fa piccolo, indifeso, povero.

La Vergine Santissima ci insegni a riconoscere Gesù anche quando non corrisponde alle nostre attese, anche quando viene nella semplicità e nel nascondimento. Lei, che ha custodito tutte le cose meditandole nel suo cuore, ci aiuti a vedere con gli occhi del cuore i segni della presenza di Dio nella nostra vita quotidiana. Chiediamo a lei, Causa della nostra letizia, di insegnarci a vedere i fiori che sbocciano anche nel deserto della nostra vita.

Come dice ancora Isaia: «Là sarà una strada appianata e la chiameranno Via santa». Maria è questa via che ci conduce a Cristo. Camminiamo con lei verso il Natale, non con l’ansia di chi deve preparare tutto perfettamente, ma con la gioia di chi sa che il Signore viene, viene davvero, e «la tristezza e il lamento fuggiranno».

In questa settimana che ci separa dal Natale, proviamo a guardare la nostra vita dal lato giusto del telaio: cerchiamo un piccolo segno della presenza di Dio nel nostro quotidiano, in un gesto di bontà ricevuto, in una parola di conforto ascoltata, in una difficoltà che si è risolta inaspettatamente. Alleniamo il nostro cuore a vedere. Amen!


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