Domenica 28 Dicembre (FESTA – Bianco)
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO A)
Sir 3, 3-7.14-17 Sal 127 Col 3,12-21 Mt 2,13-15.19-23
Di Don Paolo Scquizzato OMELIA🏠home
Giuseppe dorme, e il Mistero gli apre gli occhi alla realtà, rendendola possibile e abitabile. Un invito a uscire da una vita vissuta per inerzia per cominciare a vivere da vivo.
Giuseppe viene a rappresentare così ogni uomo che, una volta risvegliatosi, accetta di mettersi in cammino. A quel punto – e solo allora – prende con sé Maria e il bambino. Li accoglie senza possederli e senza comprenderli del tutto. Poi, insieme, attraversano l’Egitto. Precisamente vi entrano e vi escono.
Fuori di metafora: l’Egitto è il luogo delle paure, delle schiavitù interiori, delle zone d’ombra che abitano ciascuno di noi. Portarvi la luce significa permettere che anche quelle parti entrino nel respiro della vita. L’attraversamento diventa così un passaggio trasformativo.
La maturazione umana passa da qui. Abitare l’ombra, sostare nell’oscurità, attraversare il proprio deserto interiore fa parte del cammino verso un’esistenza adulta. È il tempo in cui vengono meno appoggi e certezze, e si impara a stare. In questo vuoto si apre una fede più essenziale. Non come distanza definitiva, ma come spazio consegnato alla libertà dell’uomo. È il tempo in cui non si vede, non si sente, non si comprende, e proprio per questo si viene introdotti in una conoscenza più profonda.
Il Vangelo oggi ci ricorda che riconoscere le proprie zone oscure, nominarle e attraversarle consente il ritorno a casa. Casa come luogo interiore riconciliato, dove è possibile abitare ciò che si è. Ciò che è. La vita in fondo è una e chiede di essere accolta nella sua interezza.
‘Scendere nel proprio Egitto interiore’, nelle proprie verità, anche quelle più faticose, è un gesto di onestà radicale. È il gesto di una madre che si china sulle ferite del figlio e le tocca con delicatezza. Vive infatti in ciascuno di noi un bambino interiore che chiede solo d’essere riconosciuto, ascoltato, accolto. Accogliere le proprie ferite avvia un processo di trasformazione e apre a una fecondità nuova.
A Dio è sufficiente un sogno, fragile e reale, come quello di Giuseppe. Un sogno capace di far avanzare la storia e di contenere le forze che vorrebbero spegnere la vita, dentro e fuori di noi. Questo sogno non viene infranto. Coincide con il desiderio più profondo dell’uomo: una vita piena, una felicità possibile, una vita che continua ad aprirsi.




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