Don Marco Ceccarelli Commento III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO o della Parola di Dio (ANNO C)

Domenica 26 Gennaio (DOMENICA – Verde)
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO o della Parola di Dio (ANNO C)
Ne 8,2-4.5-6.8-10   Sal 18   1Cor 12,12-30   Lc 1,1-4; 4,14-21

  • Testi di riferimento: Es 15,26; Lv 25,9-12; Dt 31,9-12; 2Re 23,2; Ne 13,1; Sal 107,20; 146,7-8;
    Sap 16,12; Is 19,22; 42,7; 49,8; 52,7; 58,6; 59,21; Is 61,1-2; Mt 8,8; 11,5; Lc 1,38; 4,32.36; 7,7;
    10,17; 19,5.9; 23,43; Gv 9,39; 14,26; At 10,36.38; 26,18; 28,27; 2Cor 6,2; 1Ts 2,13-16; Eb 3,7-13;
    4,12; 1Gv 2,27
  1. Prima lettura.
  • Il tema di questa domenica è, ovviamente, l’ascolto liturgico della parola di Dio da parte del Suo
    popolo. Si tratta di un aspetto assolutamente non banale, ma peculiare del popolo della Rivelazione.
    Che Dio abbia voluto parlare a qualcuno, ad un popolo, il quale ha conservato le sue parole di vita,
    non è per nulla scontato. Quello che rende speciale il popolo dell’Antica Alleanza è di avere ricevuto in eredità la Rivelazione, il dono della Parola di Dio, eterna e immutabile, che può e deve essere
    ascoltata e obbedita, perché in questo consiste il bene per l’uomo. Ad un certo punto questo popolo
    comprende che occorre, ancora prima e ancora più di mettere in atto sacrifici e olocausti, “mettersi
    sotto” alla parola di Dio. È qualcosa di “strano”, perché a noi esseri umani piace un Dio che ascolti
    noi, che faccia quello che gli diciamo noi, non il contrario. Ma in questa differenza sta tutta la distinzione fra i falsi idoli e il vero Dio. Ed è solo il vero Dio che ci può essere d’aiuto.
  • In questa lettura si presenta dunque una grande e solenne liturgia della parola. I Giudei ritornati
    dall’esilio si riuniscono per ascoltare «il libro della Legge (Torah) di Mosè» (Ne 8,1). Al ritorno
    nella terra dei padri, viene posta al centro della vita del popolo quella parola di Dio la cui inosservanza aveva provocato la discomunione con Dio e quindi l’esilio. In questo brano si possono osservare alcuni elementi:
    a) Tutto il popolo, uomini, donne, e chiunque fosse in grado di capire, si mette all’ascolto; un ascolto reale, con sincero atteggiamento di accoglienza: «il loro orecchio era verso il libro della Torah» (Ne 8,3).
    b) La lettura è molto prolungata, dall’alba fino a mezzogiorno.
    c) Siccome non tutti capivano l’ebraico, la lingua in cui era scritta la torah, viene eseguita una traduzione che implicava anche una spiegazione dei testi.
    d) La proclamazione liturgica della Torah ha un effetto su coloro che l’ascoltano; nella fattispecie
    quello di provocare un sincero pentimento per non averla osservata.
    e) Nonostante il sentimento di contrizione presente nel popolo si invita alla gioia perché il Signore
    ha mostrato il suo perdono.
  • Tutti questi elementi sono essenziali anche per la vita della Chiesa. La Scrittura va innanzitutto
    proclamata per quello che è, senza modificarla, perché non si può aggiustare la parola di Dio ad uso
    dell’ascoltatore. Si capisca o non si capisca essa va proclamata integralmente. Occorre poi però tradurla nel linguaggio di ciascuno, spiegarne il senso oggettivo in un lessico comprensibile per
    l’ascoltatore, senza tuttavia ridurla o banalizzarla. Va infine interpretata applicandola concretamente
    alla vita delle persone. Questo terzo passaggio è fondamentale per far sì che la parola non rimanga
    staccata dalla vita, ma possa penetrarla e produrre i suoi effetti. Tuttavia, tutto questo risulterebbe
    inefficace se non ci fosse da parte dell’ascoltatore un terreno buono, cioè un sincero atteggiamento
    di ascolto della Parola che permetta ad essa di penetrare in profondità. Se questo avviene, l’ascolto
    non potrà non provocare un sentimento di contrizione per la raggiunta consapevolezza di lontananza
    dalla volontà di Dio; e, allo stesso tempo, la gioia per l’esperienza di un Dio che continua ad amarci.
    • Gesù e lo Spirito. Con il brano odierno riprendiamo la lettura del Vangelo di Luca, dopo la discesa
      dello Spirito Santo su Gesù al Giordano. L’evangelista che seguiamo quest’anno mette in particolare rilievo il ruolo centrale che lo Spirito ha nella vita e nel ministero di Gesù. Lo Spirito, con la sua
      potenza, lo condurrà in tutta la sua missione. Anche le prime parole pubbliche di Gesù riguardano la
      sua consacrazione dallo Spirito. Quanto annunciato dal profeta ora si è realizzato in Gesù. Lo Spirito di Dio è la grande novità che si fa presente tramite Cristo. Con lo Spirito Santo è giunto il regno,
      è giunto il tempo della salvezza. La liberazione, la guarigione, la salvezza, sono ora possibili perché
      è presente in Gesù la potenza dello Spirito divino.
    • Gesù e/è la parola di Dio. Gesù stesso, almeno dall’età di dodici anni si è “messo sotto” alla parola
      del Padre, andando tutte le settimane alla sinagoga. Ma ora la parola di Gesù si identifica con quella
      della Sacra Scrittura. La parola di Cristo è una parola divina che produce gli stessi effetti salvifici.
      “Oggi si è compiuta la Scrittura” perché in Cristo è Dio stesso che la proclama. Questo verrà confermato nel seguito del Vangelo. In Lc 4,31-36 Gesù scaccia i demoni con il potere della sua parola;
      in Lc 21,33 Gesù afferma che le sue parole sono eterne come la parola di Dio (Is 40,8; 1Pt 1,25).
      Dal tempo di Neemia in poi Israele continua ad aprire e a leggere la torah. Gesù si inserisce in questa tradizione. Se anche lui apre il libro e lo legge è ovvio che lo stesso vale per noi. Non solo lo
      legge, ma ne dà anche l’interpretazione. Quello che segue (lo vedremo nella prossima domenica)
      però non è simile alla reazione del popolo descritta nella prima lettura. L’efficacia della parola divina non è magica. Implica l’accoglienza, l’accettazione da parte di chi ascolta.
    • L’“oggi” della salvezza. Quello che per i profeti antichi era il futuro, con Gesù è diventato un “oggi”. Questo è un termine chiave in Lc, che serve a sottolineare la presenza della salvezza in mezzo a
      noi. Per Zaccheo è arrivata “oggi” la salvezza (Lc 19,5.9); il malfattore accanto a Gesù sarà “oggi”
      in paradiso con lui (23,43). Ciò implica d’altro lato che è sempre oggi il momento in cui si accoglie
      o si rifiuta la salvezza. La presenza di Cristo ci pone davanti ad una decisione, subito. Anche Pietro
      avrà un “oggi” in cui invece di seguire il maestro lo rinnegherà (Lc 22,34.61). Quello che rende
      speciale il popolo della Nuova Alleanza è questo “oggi” della salvezza; è il fatto che la parola di
      Dio – quella stessa parola che ascoltava il popolo dell’antica alleanza e che tante volte non riusciva
      a vivere – ora si è compiuta in Cristo. Ciò significa che lui è
      a) la parola incarnata,
      b) il criterio di interpretazione di questa parola,
      c) la grazia perché il suo discepolo possa realizzare nella sua vita questa parola e trovare la vita.
    1. La necessità della Parola di Dio nella liturgia.
    • Nella proclamazione della Parola di Dio durante la liturgia ecclesiale si realizza questo “oggi”.
      Siccome è Cristo «che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura» (Sacrosanctum Concilium 7), quella parola essendo “parola di Dio” diventa una parola efficace (Eb 4,12), che realizza
      quello che significa. Ciò vuol dire che nella liturgia la proclamazione della Parola ha un qualcosa in
      più rispetto la lettura personale. È sempre una cosa ottima e raccomandabile la lettura personale della Sacra Scrittura. Ma l’ascolto della stessa Scrittura all’interno della liturgia ha una efficacia diversa. Lì è Cristo stesso che sta parlando; e sappiamo che la parola di Cristo ha il potere di realizzare
      quello che dice in coloro che la credono. Perché la Scrittura si adempia in chi la ascolta occorre accoglierla con fede, occorre rispondere ad essa “Amen amen” (Ne 8,6), come l’amen di Maria rende
      possibile in lei l’adempimento della parola di Dio trasmessa attraverso l’angelo.
    • L’ascolto della Scrittura nella liturgia è una rivelazione che il Signore ha fatto ad Israele ai tempi
      dell’esilio. Non basta che Dio abbia parlato una volta al Sinai comunicando la sua torah o che abbia
      parlato diverse volte attraverso i profeti. Dio rivela, attraverso la crisi dell’esilio, la necessità che il
      popolo abbia un ascolto diretto e continuo della Parola dalla stessa bocca di Yahvè. Questo si realizza nella liturgia. La parola di Dio è tale anche quando privatamente la si legge, la si studia, la si
      commenta. Ma all’interno della Ecclesia, la proclamazione della Scrittura acquista una forza tutta
      particolare perché è come se uscisse dalla bocca stessa di Dio. Quando è la Chiesa a proclamare la
      Parola in quel momento è Cristo stesso che la proclama e quindi ha esattamente tale efficacia. E
      sappiamo che la parola di Dio realizza quello che dice. La Scrittura “avviene”, si adempie, si compie, nel momento stesso in cui è pronunciata. «La parola di Dio è viva e efficace» (Eb 4,12) perché
      ha il potere di dare la vita ai morti, e perché provoca l’effetto che vuole ottenere.
    • Last but not least. All’interno dell’assemblea liturgica la proclamazione della Scrittura è accompagnata dall’insegnamento della Chiesa stessa. Questo è un aspetto da cui non si può prescindere.
      Nel brano odierno l’evangelista parla dei “ministri della Parola” (1,2) e afferma che la messa per
      iscritto di quanto è avvenuto serve per consolidarsi in quei discorsi in cui si è (già) stati catechizzati
      (1,4). Ciò significa che non basta il rapporto diretto con la parola scritta bypassando chi di quella
      Scrittura ne è portatore e ministro. La Sacra Scrittura non può essere lasciata all’interpretazione personale, magari ingenua e letteralistica, o che non tiene conto dello sviluppo della Rivelazione. C’è
      una Chiesa che ha trasmesso nei secoli la Parola di Dio e che ha il diritto e il dovere di fornire la retta comprensione di essa.
      P.S.
      L’“anno di grazia”. Siamo in un anno giubilare. Il testo di Isaia che Gesù legge nella sinagoga di
      Nazareth fa riferimento all’anno giubilare ebraico in cui si dava la possibilità di estinguere i debiti e
      di riprendere una corretta posizione all’interno del popolo dell’alleanza. Nella vita della Chiesa
      l’anno giubilare è una occasione stra-ordinaria per accedere alla grazia di Dio e ricevere il perdono
      e la guarigione dei danni che ci siamo procurati a causa dei nostri peccati. Ma anche per aiutare,
      grazie alla “comunione dei santi” esistente fra tutti i battezzati di tutti i tempi, coloro che hanno già
      concluso il pellegrinaggio terreno. Non lasciamo passare inutilmente questo tempo favorevole (come fu invece per molti contemporanei di Gesù).

    Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/