Domenica 2 Marzo (DOMENICA – Verde)
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 27,5-8 Sal 91 1Cor 15,54-58 Lc 6,39-45
Alla scuola dell’amore “un discepolo non è più del
maestro”. L’amore è vero se nasce dal profondo della
nostra umanità, dell’albero buono che fa frutti buoni. Ma
l’amore non cresce spontaneamente. Alla scuola dell’amore
si va a imparare e accogliere i propri limiti, ad abbandonare
la pretesa di essere autosufficienti, e a cercare l’altro per
amore.
A questa scuola si impara ad accogliere anche i limiti di sé e dell’altro. Bisogna uscire dalle
idealità, su se stessi e sugli altri ma ad entusiasmarsi delle realtà belle e buone di tutti, ma
anche a non scandalizzarsi di quelle più faticose.
Abbiamo bisogno di una grande parola: umiltà, perché solo dall’umiltà viene la capacità del
dono di sé: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte di croce» (Fil 2,3b.5.8). E la croce è la dimostrazione
storica dell’amore di Gesù Cristo per tutti gli uomini.
L’amore non è ipocrita, non è una commedia, non è un post per ricevere dei like o dei
cuoricini. Con la coloratissima immagine della pagliuzza e della trave nell’occhio, Gesù vuole
metterci in guardia da una cura solo presbite.
È la pretesa di curare i difetti degli altri, ma di non voler nemmeno sfiorare i propri. Non è
questione di coerenza, ma di capacità: solo chi ha imparato a fare verità su se stesso,
riconoscendo e accogliendo con pazienza i propri difetti, può, dopo, anche aiutare gli altri a
riconoscere i propri.
Fa parte dell’amore la correzione del fratello e si impara alla scuola della propria fragilità,
riconoscendoci non migliori degli altri. Perché il mondo cambia quando cambiamo noi,
senza l’arroganza di chi attribuisce sempre la responsabilità e la colpa agli altri e non vuole
mettersi in discussione, per dare poi il proprio contributo positivo.
Gesù sembra esagerare parlando di una trave nel proprio occhio, rispetto alla pagliuzza
dell’altro. In effetti, non è questione di grandezza di colpe o di errori. Ciò che è piccolo
diventa enorme se non viene riconosciuto, e perché vedere i difetti degli altri diventa la
ragione per non riconoscere i propri.
Non c’è albero buono che produca un frutto cattivo. Dio non ci ha creati cattivi. Ma il
guasto del nostro egoismo e del peccato ci rende irrecuperabili. Siamo una cosa cattiva ma
l’amore di Dio consiste proprio nel rendere buona ogni cosa e fa ci ritornare allo stato
originario attraverso la nostra conversione e l’impegno.
La bocca esprime ciò che nel cuore sovrabbonda. Il cuore è la sede dell’intelligenza, della
volontà, dell’intuizione profonda, dei grandi sentimenti che guidano le scelte della nostra
vita. La parola esprime il nostro mondo interiore, la parola dà forma alle relazioni con
l’altro, con gli altri. L’albero della nostra vita che è buono, può produrre frutti di relazioni
d’amore anche con i nemici, quando ci conosciamo uomini e donne fatti «buoni» dal Signore.
