Domenica 2 Marzo (DOMENICA – Verde)
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 27,5-8 Sal 91 1Cor 15,54-58 Lc 6,39-45
Quattro brevi proverbi del libro del Siracide guidano a sostare sull’importanza della parola e sull’importanza di coltivare una parola nutrita di sapienza. Il libro – scritto nei primi decenni del II secolo a.C. in un tempo di dominio straniero – costituisce una riflessione per coltivare la libertà interiore in un momento di grandi prove anche per la fede. E’ ripreso così l’invito a seguire la sapienza, descritta con i tratti personali e con il profilo di donna nel libro dei Proverbi a cui Ben Sira, l’autore, si ricollega.
Le quattro brevi sentenze ricordano come proprio nel modo di discutere si rivelano il cuore della persona e i suoi difetti; affrontare un dialogo è come lavorare la creta ed è operazione difficile che esige cura, attenzione, pazienza di ricominciare e rifare continuamente e mette alla prova; le parole sono come i frutti di un albero che rivelano la bontà. Proprio nel parlare si manifesta il cuore di ognuno. Nel libro del Siracide è data grande attenzione al valore della parola e al modo in cui si comunica con gli altri: ogni violenza e doppiezza trae le sue origini dal modo di usare le parole, dal linguaggio usato. E’ questa una lettura che ci invita oggi ad una cura delle parole, ma anche a scorgere come il modo di parlare e le modalità di comunicazione con gli altri possano essere luogo di crescita e di bene oppure radice di violenza e di oppressione. Siamo ben consapevoli oggi nel mondo in cui si moltiplicano strumenti e opportunità di comunicazione con sempre nuove tecnologie, di come il linguaggio possa essere usato quale veicolo di false verità, della retorica della violenza. Si comincia dalle parole cattive per disumanizzare l’altro, per renderlo odiabile e per avviare processi di esclusione. Ma è anche la parola la grande via per diventare liberi e per poter entrare in relazioni autentiche con gli altri.
Anche la pagina del vangelo appare come una raccolta di detti. Sono brevi insegnamenti di Gesù, inviti ad uno stile di comportamento. Nella comunità di Luca, che vedeva l’accostarsi di pagani che accoglievano il vangelo, queste parole costituivano quasi uno schema di riferimento e insieme esortazione per scelte di agire secondo il vangelo. In questa sezione infatti Luca raccoglie le indicazioni di Gesù quale orientamento di vita fondamentale da coltivare nella sua comunità per seguirlo. Questa raccolta costituisce anche un esempio sui modi in cui si ricordavano le parole di Gesù utilizzando metodi di memoria legando insieme insegnamenti diversi per mezzo di elementi comuni e di parole chiave. sono indicate le immagini di un cieco, della pagliuzza e della trave, dell’albero, del frutto buono o cattivo. Il rinvio al cieco è commento all’imperativo ‘non giudicate, non condannate’ presentata poco prima. Si ribadisce l’orientamento a non coltivare uno sguardo di esclusione, di giudizio e di condanna nei confronti degli altri.
Il detto sulla pagliuzza e sulla trave conduce ad esaminare il modo in cui si guarda l’altro: fissare l’attenzione sui difetti evidenziando i limiti e gli errori altrui è un modo per coltivare malevolenza e impedisce di scorgere i propri limiti e mancanze. Dal soffermarsi a sottolineare anche solo piccole mancanze degli altri, la pagliuzza, si giunge a condannare gli altri senza riserve e senza senso della proporzione e si distoglie lo sguardo dai propri difetti magari ben più grandi, la trave: è la distanza tra la pagliuzza e la trave. Uno sguardo inflessibile e giudicante conduce a sentirsi deresponsabilizzati e a coltivare dentro di sé il male senza porvi attenzione e rimedio. Ben diverso è lo sguardo di Dio che è sguardo di benedizione e di misericordia, che vede il bene ed è soprattutto sorgente di bene che apre possibilità nuove al cambiamento e alla crescita.
L’immagine dell’albero invita a riflettere sull’importanza di portare frutto in comportamenti capaci di donare vita agli altri: il frutto è immagine che dice la fecondità di un dare senza riserve e in modo abbondante in una dinamica di comunicazione. Il richiamo finale è alla centralità del cuore: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. In linea con gli insegnamenti del Siracide Gesù richiama alla centralità del cuore, al centro della coscienza quale luogo della libertà e della responsabilità in cui si può ritrovare la voce di Dio, il suo sguardo benedicente. E anche Gesù richiama l’importanza della parola quale espressione di tutto ciò che si coltiva e si vive nel cuore. E’ un forte richiamo al senso di interiorità ed insieme all’importanza di una comunicazione capace di costruire apertura, benevolenza e relazioni di incontro con gli altri.
Alessandro Cortesi op
Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/
