Domenica 30 Marzo (DOMENICA – Viola o Rosaceo)
IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO C)
Gs 5,9-12 Sal 33 2Cor 5,17-21 Lc 15,1-3.11-32
Due figli vivono in una
famiglia e non è una famiglia perfetta. Ma proprio per
questo c’è bisogno di parabole come un seme buono. In
una famiglia in cui ci sono problemi l’aria è viziata. Ci
sono rapporti malati, ombre di incomprensioni, cose da
chiarire, sentimenti che faticano a uscire alla luce.
Un figlio sogna la sua libertà ma fuori di casa, come se la libertà non la respirasse dentro; e
c’è un altro figlio che è tutto lavoro ma solo lavoro. E c’è un padre che forse non riesce a
farsi capire. E accade che le relazioni si ammalano, accade quando a prevalere non è
l’amore o la passione per l’altro ma sono le cose e il lavoro diventa una forma sottile di
dominio: “Dammi la mia parte di eredità” e “Non mi hai dato nemmeno un capretto”.
Cose e non sentimenti. Una famiglia dove i figli si aspettavano solo cose. E scompare il
nome di “figlio” e di “fratello”: nomi e realtà che evocano molto di più, immensamente di
più, che vivere soltanto sotto lo stesso tetto. E si dimentica la bellezza di guardarsi negli
occhi attorno alla tavola e darsi nome di figlio, di padre e di madre, di fratello e sorella,
nomi che profumano di sentimenti.
Il peccato del figlio più giovane non è quello chi essere andato via di casa. Ogni figlio deve
fare il viaggio della propria libertà per diventare adulto e farsi uomo, ma questo figlio si è
illuso che gli bastassero i soldi per vivere. Sono le relazioni che contano, sono i legami
d’affetto le nostre ricchezze nelle tempeste della vita. Questo figlio si è ridotto a fare il
guardiano dei porci che è un mestiere che dà da vivere ma lui si era ridotto a confondersi
con le bestie e diventa solo una bocca da sfamare. Della vita che il padre gli aveva
consegnato era rimasta solo una funzione fisiologica e così quel figlio scopre di valere meno
dei porci.
Penso abbiano colpito anche voi il figlio maggiore che fa i conti come se fosse solo un
salariato e il minore che al massimo si augura di vivere nella casa ma solo come un servo
sotto contratto. Ma questi figli conoscevano il loro padre?
Dio non è un padrone e noi, a volte, spero non in maniera cosciente, lo offendiamo quando
riduciamo la fede a doveri, a divieti o a prestazioni. La parabola dei due figli scardina la
religione dei salariati. Nel racconto della parabola non troviamo la parola “perdono”,
neppure rivolta al figlio, per quel figlio, perduto e riavuto. E’ scritto; “Quando era ancora
lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo
baciò”.
E’ bellissimo il perdono che quel padre canta correndogli incontro, abbracciandolo,
baciandolo. Il perdono non sta nelle parole, o può anche stare nelle parole, ma il perdono è
vero se prima sta in uno sguardo. Le parole del padre nella parabola sono solo per gli altri:
“Facciamogli festa”.
E non era forse questo che indignava il fratello maggiore? Che avrebbe anche sopportato il rientro dello scappato di casa, ma a testa basa, e con l’ordine di riprendere finalmente e subito il lavoro. No, la festa no. La festa è uno scandalo, è un’ingiustizia.
Giusto qualche anno fa Papa Francesco mi ha fatto sorridere per un suo commento a questa parabola e raccontò: “C’è un’opera pop, di anni fa, sulla storia del figlio prodigo. E alla fine, quando quel figlio decide di tornare, si confronta con un amico e gli dice: “Sai, ho paura che mio padre mi rifiuti, che non mi perdoni”. E l’amico gli risponde: “Manda una letterina a tuo papà e digli: “Padre, sono pentito, voglio tornare a casa, ma non sono sicuro che tu sarai contento. Se vuoi ricevermi, per favore, metti un fazzoletto bianco alla finestra”.
E poi cominciò a camminare. E quando fu vicino, dove la strada faceva l’ultima curva, ebbe di fronte la sua casa. E cosa vede? Non un fazzoletto ma tutte le finestre della casa erano piene di fazzoletti bianchi! Il Padre lo riceve così. Questo è il nostro Padre.
“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide”. “Lo vide”. Non era chiuso in casa, deluso,
risentito e arrabbiato. Ma puntava gli occhi lontano. Quel giorno il padre vide un puntino lontano e a quel puntino diede il nome di figlio. Noi siamo quel puntino lontano ma atteso.
Tutti siamo perdonati. Ma oggi possiamo dire non solo perdonati, siamo di più, siamo attesi.
