Domenica 13 Aprile (DOMENICA – Rosso)
DOMENICA DELLE PALME (ANNO C)
Is 50,4-7 Sal 21 Fil 2,6-11 Lc 22,14-23,56
Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho tanto desiderato
mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più
finché essa non si compia nel regno di Dio”. E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e
fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite,
finché non verrà il regno di Dio”. Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo:
“Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece
lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato
per voi”.
“Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va,
secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!”. Allora essi
cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo.
(Lc 22,14-23)
Nel racconto della “passione” di Gesù non possono non sorgere alcune domande:
Perché Gesù è stato condannato?
Oggi il dibattito è aperto, soprattutto perché non si riesce a determinare di preciso se sia
stato ucciso per le sue idee religiose o per le sue posizioni politiche. Le opinioni divergono:
Gesù infatti subì il supplizio della croce, solitamente riservato ai sobillatori, a quanti non
accettavano il dominio di Roma, e anzi vi si ribellavano.
È vero che egli, stando ai Vangeli, non si è mai schierato con il gruppo degli zeloti, che
tentavano di sottrarsi al dominio imperiale usando le armi. Ma è anche vero che tra i suoi
discepoli alcuni venivano proprio dalle loro fila: Simone è detto “zelota”, Pietro portava una
spada, Giuda è soprannominato “iscariota”, da “sicarius”. E il sicario recava il pugnale,
simbolo appunto degli zeloti. Diversi commentatori sostengono che la predicazione di Gesù
ebbe una notevole valenza socio-politica, tralasciata dagli evangelisti per non correre il
rischio di entrare in conflitto con Roma. Marco, in modo particolare, avrebbe editato per la
comunità della capitale un Vangelo depoliticizzato, annacquando molti spunti messianici e
antimperiali dell’attività e delle parole di Gesù. Non voleva suscitare i sospetti dell’autorità:
questa aveva già fatto sentire in modo pesante il proprio capriccio e arbitrio durante la
persecuzione del 64, regnante Nerone.
Non sappiamo se davvero gli evangelisti abbiano ammorbidito i toni della loro opera: le
uniche fonti sono proprio i Vangeli, e ad essi dobbiamo attenerci. Molti autori si trovano
comunque d’accordo sull’interpretazione fattuale da dare al processo e alla condanna di
Gesù. Egli è morto in croce: la suprema autorità giudaica è intervenuta, in connivenza con
l’autorità romana. E l’autorità romana, rappresentata dal governatore Ponzio Pilato, ha
giocato un ruolo determinante nella condanna. Quanto alle motivazioni di tale giudizio, si
ritiene che a pesare di più sia stato il dissidio religioso che vigeva tra Gesù e il Sinedrio, e
che in subordine siano poi intervenute considerazioni di natura politica. Quando il Cristo
parla di libertà, e di libertà di coscienza, tocca da vicino anche la sensibilità dell’autorità
occupante. E in Gesù che viene ucciso, per le sue idee e per amore della Verità, Dio si rende
per sempre solidale con tutti coloro che lottano per la giustizia e la fraternità.
Come Gesù ha vissuto la propria morte? Sapeva di morire?
Gesù ha parlato della propria morte, ma forse non in maniera così chiara come i Vangeli
riferiscono: probabilmente, nella composizione, gli estensori hanno tenuto conto di quanto
avvenuto dopo la crocifissione.
Certamente possiamo pensare che Gesù abbia avuto chiara coscienza della morte che lo
attendeva, morte violenta e per mano altrui. Molti profeti erano stati perseguitati e uccisi.
Egli stesso aveva praticamente assistito alla decapitazione di Giovanni Battista. Sapeva che i
circoli dirigenti giudaici lo accusavano di magia (Mc 3,22), di scacciare i demoni in nome di
Belzebù, di bestemmia (Mc 2,7), di contravvenire alla legge del sabato (Mc 2,23-3,6). Si
tratta di veri reati, punibili con la lapidazione. Gesù comprende che la sua vicenda terrena
stava avviandosi a una conclusione cruenta, e lo dice ai discepoli: “Il figlio dell’uomo sarà
consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno” (Mc 9,31). “Sarà consegnato” è un
passivo, per significare, che non si sa da chi. Come Gesù è arrivato a questa conclusione?
Forse paragonando la propria vicenda a quella degli antichi profeti, la cui missione si era
chiusa spesso con la soppressione delle voci scomode.
Gesù ha avuto coscienza della sua resurrezione?
Ma c’è un’altra domanda: Gesù ha avuto coscienza della sua futura resurrezione? Oppure i
testi che ne parlano costituiscono retroproiezioni della comunità? Se Gesù ha dato un senso
alla propria vita situandosi sulla linea del servo perseguitato, si dovrà ammettere che egli
condivise almeno la stessa speranza del servo: Dio non abbandona il giusto alla morte.
Oltre a ciò, Gesù stesso e i suoi discepoli, fin dall’inizio, hanno certamente letto la condanna
del Messia come segno di riconciliazione tra i popoli, come riscatto per la moltitudine, come
patto d’alleanza tra Dio e l’uomo, come segno di comunione. Vi hanno infatti intravvisto
l’amore: Gesù ha parlato per amore, ha contestato per amore, ha operato per amore. E
l’amore vince la morte; soprattutto, vince l’inimicizia e instaura un ordine di fraternità e di
giustizia. Qui, in quest’uomo, Dio si è rivelato un Dio unico e solidale, teso a difendere i
poveri e fare dell’umanità una famiglia di uguali: un’umanità che non può rimanere chiusa
nell’orizzonte terreno, ma aperta al trascendente. Gesù, forse, non pensava tanto al suo
futuro e alla sua resurrezione, ma mirava alla resurrezione dell’umanità. Egli è vissuto, ha
amato, ha operato per essa. È un uomo “pro-esistente”, come affermava Bonhoeffer. E in
questa “pro-esistenza” è esplosa la vita, la resurrezione.
Due piccoli impegni:
- Diventare uomini “pro-esistenti”.
- La morte di Gesù è il segno del suo amore.
