Don Paolo Zamengo DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

Domenica 20 Aprile (SOLENNITA’ – Bianco)
DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO C)
At 10,34.37-43   Sal 117   Col 3,1-4  

Ci aspetta una lettura attenta del brano del vangelo di
Luca, una lettura non condizionata dal fatto che tanto
noi sappiamo come andrà a finire e cioè che i discepoli
si arrendono all’evento della risurrezione. Una lettura
attenta ai particolari del racconto non può non lasciare
in noi una certa sorpresa: la sorpresa della gradualità.
Come è lento il cammino della fede! Come fatica a entrare nel cuore dei discepoli la convinzione
che Cristo è risorto. Noi uomini e donne a volte schiavi dell’immediato, noi decisionisti anche della
fede, ci saremmo, a buon diritto, spazientiti. Ma come? Gli apostoli che avevano appena finito di
dire che Gesù è apparso a Simone e ora che arrivano due loro amici a dire di averlo riconosciuto
nella locanda a Emmaus, ora appare in mezzo a voi, e qual è la reazione?
“Stupiti e spaventati, credete di vedere un fantasma”? Lo avete sentito dire: “Pace a voi” e ancora
sorgono dubbi nel vostro cuore? Vi ha detto: “Toccatemi e guardate”, vi ha mostrato le mani e i
piedi, ma di voi è scritto: “…per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti”. Noi,
confessiamolo, ci saremmo spazientiti molto prima.
Ma Gesù no! Gesù, a differenza nostra, conosce la gradualità della fede e del cuore.
Dall’impazienza nascono convinzioni fragili o anche esclusioni, edifici su fondamenti di sabbia.
Dobbiamo soffermarci sulle strade della fede, le vie che, secondo Gesù, portano dalla sensazione
di essere davanti un fantasma, “credevano di vedere un fantasma”, alla percezione intensa di
avere un compagno di strada, il Vivente, di avere la fede che ci fa dire: “è vivo”.
Gesù preferisce tre itinerari. Il primo è nell’invito: “Toccatemi e guardate”. Sono parole e azioni
che abbiamo cancellato dall’esperienza religiosa, ridotta, quasi esclusivamente, imprigionata forse
nel territorio delle nozioni, con un approdo fondamentalmente razionalistico. Percorsi in cui entra
la testa, ma non entrano le mani -“toccatemi”-, non entrano gli occhi -“guardate”-.
Mentre la fede, la fede nel Signore risorto, è scoperta anche per le mani, è scoperta anche per gli
occhi, fa vibrare anche il cuore. È vero che “toccare e guardare”, secondo il racconto, non bastano
a disperdere i dubbi, ma non dobbiamo censurare ogni “guardare e toccare”.
È l’invito che fa lui: “Toccate, guardate”. Forse rimane un interrogativo: in che cosa e come, oggi,
tocchiamo il Signore risorto? Forse oggi non diciamo più “toccate e guardate”, perché siamo
diventati incapaci di leggere i segni della risurrezione nel nostro tempo.
Il secondo itinerario sta nelle parole: “Avete qui qualcosa da mangiare? E mangiò davanti a loro”.
L’esperienza di fede nasce dal mangiare e non solo dal digiuno: dal mangiare davanti al Signore…
Gesù ha legato la sua vita al banchetto. Il banchetto come segno di amicizia. Il banchetto con noi,
nel gesto della confidenza, dell’affetto, della donazione. Il gesto della confidenza, dell’amicizia,
della donazione, è il segno che Gesù è vivo.
E c’è un ultimo passaggio: “Aprì loro la mente a comprendere le Scritture”. Che peccato che per
secoli il libro delle Scritture sia rimasto un libro chiuso. “L’ignoranza delle scritture” – diceva S.
Gerolamo – “è ignoranza di Cristo”. Ritorniamo alla Bibbia, anche a piccoli passi, ma ritorniamo.
Capiterà anche a noi, come ai discepoli di Emmaus, di sentire ardere il cuore, di sentire Cristo vivo,
vivo e in cammino con noi, sulle strade del mondo, sulla strada della nostra vita.