Venerdì 18 Aprile ( – Rosso)
VENERDI SANTO (PASSIONE DEL SIGNORE)
Is 52,13- 53,12 Sal 30 Eb 4,14-16; 5,7-9 Gv 18,1- 19,42
Oggi, nel Venerdì Santo, siamo chiamati a fermarci ea contemplare l’evento tragico e salvifico della morte di Gesù sulla croce: un sacrificio che nella prospettiva del mondo sembra essere l’estremo atto di sconfitta, di debolezza, ma che in realtà rivela la vera potenza di Cristo, una potenza che non si misura con il potere del mondo, ma con l’amore infinito e il perdono incondizionato. Nel Vangelo di Giovanni, il racconto della Passione si apre con un gesto paradossale: Gesù si consegna nelle mani dei suoi persecutori. “ Gesù, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi ” (Gv 18,4). Quella di Gesù è una decisione libera e piena di amore, che va incontro alla sua Passione con generosità e consapevolezza. Gesù viene consegnato da Giuda ai soldati romani, da Pilato alla folla, dalla folla alla croce, fino al momento finale. Gesù, in qualche modo, “passa di mano in mano”, ma rimane sempre il protagonista assoluto della sua passione. Egli si consegna per la salvezza dell’umanità, ma anche per ciascuno di noi. In questo vediamo un primo invito che ci viene rivolto: Gesù viene consegnato anche a me, perché sappia accoglierlo nella mia vita, come Lui si è consegnato nelle mani degli altri. Ogni giorno, sono chiamato ad accoglierlo, soprattutto nelle prove, nelle difficoltà e nei nostri momenti di buio e di sofferenza. Vieni ad accogliere il Signore? Con la durezza di cuore o mi lascio plasmare da Lui, affidandomi e facendo la sua volontà? Faccio spazio nella mia vita per accoglierlo pienamente, anche nei momenti di prova e sofferenza? O penso di poter fare tutto da solo? La densa azione liturgica del Venerdì Santo ci offre, poi, un momento centrale nell’adorazione della croce. Essa, un patibolo infame, che apparentemente rappresenta la fine di una vita terrena, diventa, in realtà, il luogo della intronizzazione di Cristo come Re. Egli, tuttavia, non è un re che domina da un trono dorato, con potenza militare, politica ed economica, ma un sovrano che regna attraverso l’umiltà, l’amore e il sacrificio di sé. Il titulus crucis , la scritta che dichiarava “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”, è un atto di ironia divina. Condannato come un malfattore, Gesù è il Re eterno, la cui regalità si manifesta nella sua offerta totale di sé per il bene dell’umanità. La sua potenza non è nel dominio, ma nell’amore che salva. Adorare la Croce significa riconoscere in essa non la morte, ma la vita, non la sconfitta, ma la vittoria. La Croce è il luogo dove si manifesta l’amore più grande, quello che trasforma il dolore in salvezza, la sofferenza in redenzione. È il momento in cui, in silenzio e in preghiera, siamo invitati ad inginocchiarci davanti a Cristo, riconoscendo la sua regalità nella nostra vita, sentendo profondamente la chiamata a seguirne le orme, unendoci al suo sacrificio. Non si tratta solo di un gesto esteriore, ma di un atto profondo di trasformazione interiore. Inginocchiarsi di fronte alla Croce significa non solo rendere onore a Cristo, ma anche entrare nel mistero della sua sofferenza e della sua vittoria. In quel momento, ogni parola cede il passo al silenzio, e il nostro cuore è chiamato a “scomparire” per fare spazio all’amore di Cristo che, proprio sulla croce, si dona senza riserve. Adorare la Croce, quindi, è un atto che ci trasforma, ci rinnova e ci fa partecipi della sua opera di salvezza. Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, la carmelitana morta ad Auschwitz, scriveva: ” La Croce è il luogo dove il peccato si trasforma in salvezza, dove la morte si fa vita. Se comprendiamo questo, comprendiamo che ogni sofferenza, ogni dolore, può diventare un’opportunità di incontro con Dio, un’opportunità di redenzione ” ( Scientia Crucis , p. 92). Oggi, mentre guardiamo alla croce, siamo invitati a riflettere sulla vera grandezza del cammino cristiano. In un mondo che spesso misura il successo in termini di potere, visibilità e affermazione personale, Gesù ci insegna che la vera grandezza si trova nel darsi agli altri, nello svuotarsi di sé. In questo Venerdì Santo siamo invitati a guardare alla croce non solo come simbolo di morte, ma come albero di vita, in cui rivedere il nostro cammino di fede. La vera vita cristiana, infatti, non può mai coincidere con l’affermare noi stessi, ma sempre nel diventare strumenti “inutili”, che nella loro debolezza e trasparenza possono condurre anche gli altri a Cristo. Che oggi, sostando silenziosamente di fronte alla Croce, ciascuno di noi possa rinnovare il proprio proposito a seguire il cammino di Gesù, accogliendo il suo amore e diventando, a nostra volta, dono per gli altri, senza riserve. Chiediamo in questo tempo al Signore di fare spazio e silenzio e di donarci la forza di seguire le Sue orme sempre, non solo nei momenti di gioia, ma anche nelle tortuose vie che portano al Calvario.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)
«Entrando un giorno in oratorio i miei occhi caddero su una statua che vi era stata messa, in attesa di una solennità che si doveva celebrare in monastero, e per la quale era stata procurata. Raffigurava il nostro Signore coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi ebbi tal dolore al pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe, che parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un profluvio di lacrime, supplicandolo a darmi forza per non offenderlo più. […] Ma nulla mi fu più utile che di prostrarmi innanzi alla statua che ho detto. Io allora diffidavo molto di me e mettevo ogni fiducia in Dio. E mi pare che gli dicessi che non mi sarei alzata dai suoi piedi, se non mi avesse concesso quello di cui lo pregavo. Certamente Egli mi deve aver ascoltata, perché d’allora in poi mi andai molto migliorando. Questo era il mio metodo di orazione. Non potendo discorrere con l’intelletto, procuravo di rappresentarmi Gesù Cristo nel mio interno, specialmente in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo, e mi pareva di trovarmi meglio. Mi sembrava che, essendo solo ed afflitto, mi avrebbe accolto più facilmente, come persona bisognosa d’aiuto. Di simili ingegnosità ne avevo parecchie. Mi trovavo molto bene con l’“orazione dell’orto” dove gli tenevo compagnia. Pensavo al sudore e all’afflizione che vi aveva sofferto, e desideravo di asciugargli quel sudore così penoso. Ma ripensando ai miei gravi peccati, ricordo che non ne avevo il coraggio. Me ne stavo con Lui fino a quando i miei pensieri lo permettevano, perché mi disturbavano assai» (Teresa d’Avila, Libro della vita, Cap. 9, 1-4).
Preghiera
Siamo qui, o Signore Gesù.
Siamo venuti come i colpevoli
ritornano sul luogo del delitto,
siamo venuti come colui che Ti ha seguito,
ma Ti ha anche tradizionale,
tante volte fedeli e tante volte infedeli,
siamo venuti
per riconoscere il misterioso rapporto
fra i nostri peccati e la tua passione:
l’opera nostra e l’opera tua,
siamo venuti per batterci il petto,
per chiederti perdono,
per implorare la tua misericordia,
siamo venuti
Sappiate che Tu puoi,
che Tu vuoi perdonarci,
perchè tu hai spiato per noi.
Tu sei la nostra redenzione
e la nostra speranza.
(Paolo VI)
