Valerio Febei e Rita Commento VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Domenica 25 Maggio (DOMENICA – Bianco)
VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)
At 15,1-2.22-29   Sal 66   Ap 21,10-14.22-23   Gv 14,23-29

Quel che penso quel commento che sono. È una riedizione dell’aforisma di Cartesio: penso dunque sono. Qualche dubbio. Il pensiero sarebbe a capo di me, di tutto il resto. Il pensiero non è tuttavia libero, molto spesso è determinato dal vissuto. Vale a dire che sono io che mi ‘leggo’ e leggo gli altri secondo quel che ne ‘penso’. Non mi curo di quel che ne pensa Dio. Eppure non io ho fatto il mondo, solo me lo rappresenta.
Immagino un ragazzino, ancora al riparo dall’ansia di strafare, al riparo dalle esperienze che poi lo determineranno. Chi o cosa sarebbe stato senza di quelle? Le storie ci segnano e ci incastrano. Fanno il loro mestiere. Ma nessuno è la sua storia. Chi siamo là dove Dio ci pensa?

In fondo la fede è un ritorno al nostro mistero e al nostro destino. Rimettersi nelle mani di Dio, anche questo è un tornare bambini. ‘Ma come si può rinascere? …’, diceva Nicodemo.
In effetti ci sono storie che scavano solchi nella nostra mente e altre che ci attirano come il canto indiscreto delle sirene. Nostalgia di ciò che è stato e non è più ora. Situazioni attuali in cui non ci pare di riconoscerci e dicono: tu non sei qui, tu non sei questo…
Il ritorno a Dio è piuttosto un reset, un ripristino delle condizioni fondamentali: io non so chi sono ma so che tu lo sai. A te consegno l’ansia. Non devo fare altro che rimanere in questa pacifica attesa confidando nel fatto che Cristo mi ha amato fino alla fine. Se ne può fare un’obbedienza? La mente chi la governa?

Sì, la fede è un’obbedienza. Si capisce allora il frequente ritorno alla preghiera dei monaci, che anche i non monaci praticano a volte. A ore fisse, perché quel rotino sia preminente su ogni cosa, su ogni voglia. Va là che i monaci hanno preso la parte migliore! I salmi infatti sono il nutrimento della mente e del cuore.
Ritorno, quindi, a quel che c’era prima che le vicende accadessero e oltre queste, siano belle e brutte. A quel che Dio ha sempre pensato di noi, a quel che siano per lui. Se non in chi mi ha amato dando la vita per me, dove altro posso ritrovarmi?
La difficoltà è che delle cose abbiamo esperienza, di Dio no, apparentemente. Ma quel che diciamo realtà è la rappresentazione delle nostre percezioni sensoriali: pochissima roba. La scienza progredisce e ci assicura che dell’esistente sappiamo molto molto poco.

Già un occhio più limpido e meno preclusivo lascia intravedere dimensioni nuove ‘oltre la siepe’.
Per questo chi ci sa parlare del Vangelo ci traghetta da una sponda all’altra.
“Chi mi ama mi segue, ascolta la mia parola e la osserva”. È vero: si tratta di amare, poiché se si ama si fa quel che all’amato fa piacere e non altro.
A volte ci aspettiamo che così ci ami la persona con cui condividiamo la vita, premesso che l’attesa è reciproca. Probabilmente già lo fa, lo facciamo. ma con la capacità comunicativa a disposizione e più in là non si è capaci di andare. Chiunque vorrebbe saper amare. Ma per quanto ci si provi, nessuno ci amerà come Gesù ed è cosa saggia non stare a prenderci le misure.

Quanto a chi siamo: il nostro nome è nascosto con Cristo in Dio. il nome, la cifra, l’identità altrimenti inarrivabile. Rimanete nel mio amore. Si intuisce che in questa relazione sia contenuto l’oggetto profondo del nostro destino. Ci pare di coglierlo quando si riesce ad amare senza motivo. Al contrario, il mondo celebra chi si è ‘fatto un nome’, il self made man. È questo? Tanta parte della vita se ne va così, in quel che non è o che, se raggiunto, non è lo stesso. Sappiatevi amati, dice Gesù. Verrà il Paraclito.

Valerio Febei e Rita

Fonte:www.monasteromarango.it