Domenica 3 Agosto (DOMENICA – Verde)
XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Qo 1,2;2,21-23 Sal 89 Col 3,1-5.9-11 Lc 12,13-21
La parabola di cui ci parla oggi il Vangelo è introdotta a seguito della richiesta avanzata da un uomo anonimo tra la folla, che cerca di coinvolgere il Maestro in una faccenda privata molto concreta: la divisione dell’eredità, a causa della quale è sorto un conflitto tra lui e il fratello.
La risposta di Gesù suona apparentemente dura: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». In realtà, Egli vuole far comprendere al suo interlocutore che Lui è venuto per occuparsi delle cose del Padre suo (cfr Lc 2,49) e non per dirimere questioni legate all’avidità riguardante i beni materiali, specifica competenza dei giudici terreni; al contempo, intende spostare l’attenzione direttamente su Dio, che lo ha costituito “giudice” e “mediatore” sopra gli uomini, secondo l’espressione che troviamo in Atti 10,42: Egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio.
In tal modo Gesù invita l’uomo a passare da un orizzonte meramente umano ad un orizzonte divino, come afferma San Paolo nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, invitando i Colossesi a cercare e a rivolgere il proprio pensiero “alle cose di lassù”. La Parola di questa domenica ci esorta, quindi, a porre come oggetto della nostra attenzione e della nostra ricerca non le cose della terra, ma quelle del cielo: questo, infatti, è il segno e la prova dell’avvenuto incontro con il Risorto nella nostra esistenza; questo è vivere anche noi da risorti, capaci, cioè, di guardare alle cose, alle persone e alle situazioni concrete della vita con lo stesso sguardo di Cristo, in una prospettiva rinnovata dal Suo amore immenso e gratuito.
In tale direzione va anche l’ammonimento con cui Gesù introduce e illumina il racconto parabolico: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia»; cioè, liberatevi dal desiderio di avere sempre di più, facendo di ciò che possedete il senso della vostra esistenza, illudendovi di essere padroni di tutto, persino del tempo che vi è stato dato da vivere. E l’esempio plastico di tale atteggiamento interiore è quello del protagonista della parabola, che dichiara a se stesso: «Hai a disposizione molti beni per molti anni» …
Se nell’antichità la ricchezza e l’abbondanza erano considerate una benedizione di Dio, l’uomo della parabola che il Vangelo ci propone sembra inondato di benedizioni: infatti egli, già ricco, gode anche di un raccolto abbondante. Tuttavia, fin dall’inizio del racconto, in questo personaggio si coglie un senso di “povertà” che, proprio nel momento di somma gioia e soddisfazione, emerge come un tarlo a metterlo in crisi: «Non ho dove mettere i miei raccolti». Dinanzi a tanta abbondanza, paradossalmente si sente indigente, mancante, non soddisfatto; e cosa fa? Distrugge ciò che ha, per costruire qualcosa di più grande. “Distruggere” e “costruire” sono gli stessi verbi che, nell’ultima tentazione sulla croce, vengono ironicamente imputati a Gesù dai suoi avversari: «Tu, che “distruggi” il tempio e in tre giorni lo “ricostruisci”, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!» (Mt 27,40).
Si tratta qui di un “distruggere” e un “ricostruire” per salvare se stesso mediante le proprie forze: ed è questa logica che Gesù rifiuta. L’uomo ricco della parabola, invece, sembra farla sua, progettando di “distruggere” ciò che ha per “ricostruire” più in grande, ma sempre per sé, in un orizzonte di vita assai limitato e tristemente circoscritto al suo “io”, come indica l’insistente ripetizione dell’aggettivo possessivo “mio” nelle sue parole: miei magazzini… miei beni… anima mia… rivelando la sua incapacità a dialogare e comunicare con un altro che non sia il suo sé, ragionava tra sé… poi dirò a me stesso.
Questa è la stoltezza stigmatizzata da Gesù: accumulare tesori per sé invece di arricchirsi presso Dio; fare dei beni della terra l’unico valore da perseguire, invece di tesaurizzare al cospetto del Padre; circoscrivere l’orizzonte del proprio sguardo alla terra, senza orientarlo alle cose di lassù dove è Cristo, seduto alla destra di Dio ed al quale bisogna rivolgere il pensiero, per rivestire l’uomo nuovo e riconoscere che Egli è tutto in tutti, permettendogli di diventare il “tutto” della nostra vita, il solo capace di saziarci con il Suo amore, così che possiamo esultare e gioire per tutti i nostri giorni (Salmo 89).
Se escludiamo Cristo dall’orizzonte del nostro vivere, facendo del nostro “io” la misura di tutto, come il ricco stolto della parabola, il risultato sarà soltanto vanità, vuoto, un inconcludente affannarsi sotto il sole, come afferma Qoelet nella prima lettura; sopraffatti dalle preoccupazioni che tolgono la pace del cuore, affoghiamo nella melma delle impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e, appunto, della “cupidigia”. A noi spetta la scelta della vita che vogliamo vivere: piena di senso o vuota, da stolti o da saggi, a seconda del tesoro a cui decidiamo di attaccare il nostro cuore.
Domande per la riflessione:
- Quando penso, quando parlo, quando agisco, quanto ricorrono il pronome “io” e l’aggettivo “mio”? Al centro della mia esistenza e delle mie relazioni, ci sono “io” o “Dio”?
- Quando nelle mie relazioni, nel mio lavoro, nella mia vita, percepisco la “vanità”, il vuoto di senso, con chi o con che cosa cerco di riempirlo, nutrendo la mia anima? Il Salmo ci invita a chiedere ogni mattina che sia l’amore del Signore a saziarci e a riempire di vera gioia tutti i nostri giorni.
- Cristo è tutto e in tutti. So riconoscere la sua presenza in ogni persona con cui ho a che fare nel quotidiano? Oppure voglio essere io a fare tutto ed essere tutto in tutti, a partire da me stesso? Diceva Dio a S. Caterina da Siena: “Fatti capacità e io mi farò torrente”: solo facendo spazio a Lui possiamo permettergli di colmarci con la sua presenza di amore.
- La vita non dipende da ciò che si possiede. Quanto facciamo dipendere la nostra vita dalle nostre sicurezze materiali, dai nostri pensieri, dai nostri modi di essere e di pensare, che alla fine ci impediscono di essere veramente liberi di seguire il Signore, provando tristezza nel cuore, come il giovane ricco?
- Accumulare per sé o arricchire davanti a Dio: questa è la duplice via che ci prospetta la Parola che oggi abbiamo ascoltato, invitandoci a fare una scelta: vogliamo vivere da morti che appartengono alla terra, o da risorti che cercano le cose di lassù? da ricchi con il vuoto nel cuore o da poveri che hanno in Cristo la vera ricchezza, l’unica che riempie il cuore di vera gioia?
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/
