Don Luciano Labanca”il povero Lazzaro e un ricco senza nome”

Domenica 28 Settembre (DOMENICA – Verde)
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Am 6,1.4-7   Sal 145   1Tm 6,11-16   Lc 16,19-31

Di Don Luciano Labamca🏠

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Commento

Questa parabola che scuote, quella del ricco senza nome e del povero Lazzaro, non è un racconto del passato, ma un’immagine viva della nostra società, segnata da disuguaglianze profonde, ingiustizie e indifferenza. È la storia di un’umanità che ancora oggi fatica a riconoscere il volto del povero. La stessa Agenda 2030 delle Nazioni Unite, tra i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, mette ai primi posti la lotta alla povertà e alla fame. Nonostante i progressi culturali, tecnologici e sanitari, la povertà rimane una piaga aperta. Il Vangelo non offre risposte politiche o economiche, ma un richiamo personale e urgente alla giustizia, alla responsabilità verso i beni che, secondo la dottrina sociale della Chiesa, appartengono a tutti. San Gregorio Magno, commentando questa parabola, scrive: “Tra il popolo son più noti i nomi dei ricchi, che quelli dei poveri. Perché allora il Signore tace il nome del ricco e ci dà quello del povero? Certo, perché riconosce e approva gli umili e ignora i superbi” (Om. 40,3). Il ricco non ha nome perché non ha saputo vedere l’altro. Lazzaro, invece, sì: il suo nome significa “Dio aiuta”. E Dio, davvero, ascolta sempre il grido del povero. La parabola ci presenta un contrasto netto: da un lato il ricco, vestito di abiti sontuosi, immerso nella sua autosufficienza; dall’altro Lazzaro, malato, affamato, invisibile. Non c’è solo una porta chiusa tra loro, ma è principalmente il cuore del ricco ad essere serrato. Quando arriva la morte, quella che san Francesco chiama “Sora nostra morte corporale, de la quale nullo homo vivente po’ scappare”, tutto si ribalta: Lazzaro è consolato, il ricco sperimenta la distanza da Dio. La giustizia si compie. Non c’è piu tempo di cambiare le cose ora. Risuonano sempre forti le parole di Gesù: “A che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde sé stesso?” (Mc 8,36). Il punto centrale, dunque, non è la condanna della ricchezza in sè, ma l’uso egoistico dei beni. Chi è ricco può fare molto bene, se apre il cuore alla Parola di Dio. Ma anche il povero, se si chiude alla speranza e si lascia divorare dall’odio, può smarrirsi, seminando attorno a sé odio, violenza, solitudine. Nel finale del brano, il dialogo tra il ricco e Abramo è illuminante. Il ricco, ormai condannato, chiede che qualcuno avvisi i suoi fratelli. Abramo risponde: “Hanno Mosè e i Profeti. Ascoltino loro”. E aggiunge: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non si lasceranno convincere neanche se uno risorgesse dai morti”. Cristo è risorto. Ma noi… lo ascoltiamo davvero? Questa parabola non vuole solo commuoverci, aiutarci a riflettere sulle disuguaglianze sociale, ma anzitutto convertirci. Ci chiede di aprire gli occhi su chi giace oggi alla nostra porta, di usare il tempo che ci è donato per amare, condividere, servire. Alla fine, non resterà ciò che abbiamo posseduto, ma ciò che abbiamo donato con il cuore.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)

«Uno dei confratelli chiese ad un anziano: Sarebbe giusto se io tenessi due monete per me, nel caso mi ammalassi? L’anziano, leggendo nei suoi pensieri che egli voleva tenerle, disse: Tienile. Il fratello, ritornando alla sua cella, cominciò a lottare con i suoi pensieri, dicendo: Mi chiedo se il padre mi ha dato la sua benedizione oppure no. Alzandosi, tornò dal padre e gli rivolse queste parole: in nome di Dio, dimmi la verità, perché sono tutto ansioso per queste due monete. L’anziano gli disse: Dal momento che ho visto i tuoi pensieri e il tuo desiderio di tenere quelle monete, ti ho detto di tenerle. Ma non è bene tenere più di quello che ci serve per il corpo. Ora queste due monete sono la tua speranza. Ma se le perdessi, Dio non si prenderebbe forse cura di te? Lasciate ogni preoccupazione a Dio, allora, perché egli si prenderà cura di voi» (T. Merton, La saggezza del deserto, Detti dei primi eremiti cristiani, Ed. Lindau, 2018).

Preghiera

Signore, abbiamo compreso con la parola tagliente e vera, che oggi ci hai donato, che l’essenziale della vita non è confessarti a parole, ma praticare l’amore concreto per i poveri e per quelli che non sono stati favoriti dalla vita. Questo significa fare la volontà del Padre tuo, vivere di te, forse anche da parte di coloro che non ti conoscono bene. Signore Gesù, tu ti identifichi con i perseguitati, con i poveri, con i deboli. Tu ci hai dato un esempio chiaro di vita, che hai racchiuso nel vangelo e specie nelle beatitudini pronunciate sul Monte. Il segno che è arrivato il tuo regno si trova nel fatto che in te l’amore concreto di Dio raggiunge i poveri, gli emarginati, non a causa dei loro meriti, bensì in ragione stessa della loro condizione d’esclusi, d’oppressi, perché tu sei dio e perché questi che sono considerati ultimi sono i primi “clienti” tuoi e del Padre tuo. Aiutaci, Signore, a capire che trascurare quest’amore concreto per i poveri, i forestieri, i prigionieri, coloro che sono nudi o che hanno fame, significa non vivere secondo la fede del regno ed escluderli dalla sua logica. Mancare all’amore è rinnegare te, perché i poveri sono tuoi fratelli e lo sono appunto a motivo della loro povertà. Facci capire fino in fondo che essi sono il luogo privilegiato della tua presenza e di quella del Padre tuo celeste. Amen.