Domenica 5 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Ab 1,2-3;2,2-4 Sal 94 2Tm 1,6-8.13-14 Lc 17,5-10
Di Alessandro Cortesi🏠
“Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?”
Il grido del profeta Abacuc sgorga da un’esperienza di violenza e di ingiustizia. E’ il grido di un tempo lontano ma echeggia da tutti i luoghi dove la guerra e la violenza sono oggi in atto generando immani sofferenze soprattutto nei più deboli. E’ anche il grido di tutti coloro che non si rassegnano a chiudere gli occhi di fronte alle situazioni di ingiustizia. Tra le preghiere che mons. Sabbah già patriarca di Gerusalemme invia quasi quotidianamente dalla Palestina mentre prosegue senza tregua il genocidio del popolo palestinese leggiamo: “Senza più parole, Signore, ti supplichiamo, ti preghiamo: ascoltaci! Non lasciarci soli, abbandonati alla crudeltà degli uomini che si stanno mostrando in tutta la loro disumanità, senza più veli, agli occhi del mondo. A Gaza, Signore, noi soffriamo, abbiamo fame e sete. Noi siamo malati di tutto. Hanno demolito tutte le nostre case e da tempo la nostra vita è in strada. Signore, tu sei il nostro unico rifugio! Sappiamo solo che questa guerra, con tutta la quantità di morte e sangue, qui a Gaza, ma anche in Cisgiordania, è durata troppo. Basta Signore Signore, ma non t’importa tutto questo dolore? Ci stanno uccidendo tutti. Signore, non t’importa che moriamo?Abbi pietà di noi!” (preghiera del 25 maggio da www.bocchescucite) E nella preghiera del 29 agosto us scrive: “E’ un ordine: le chiese e le due intere comunità cristiane della Striscia, quella ortodossa
e quella cattolica, devono lasciare tutto, abbandonare per sempre tutte le loro
proprietà, la loro storia e le loro vite comunitarie. Ma i coraggiosi cristiani di Gaza hanno deciso: “Noi rimaniamo!”. E’ un ordine che comanda di rinunciare a tutto, prima di bombardare e radere al suolo il quartiere. Signore abbi pietà. Tutto il quartiere ha deciso di restare: moriranno tutti. Da tanto tempo ti abbiamo supplicato, Signore, ma tu non hai risposto. Permetti tu forse a quelli che uccidono di dire: “Dov’è il vostro Dio?” E’ questa la nostra fede, Signore? E’ questa la tua misericordia, Signore? Supplicarti e lasciare che gli oppressori ci uccidano? Signore, pietà”.
La voce dei profeti è voce sempre legata al presente, e risuona e riverbera in diversi tempi. E’ parola di denuncia di una situazione che contraddice la promessa di Dio, è anche grido a Dio stesso e provocazione: ‘Fino a quando Signore…?’ Ci sarà un termine a tutto questo?…
Abacuc pone la questione dello scandalo del male e dell’ingiustizia, non offre facili risposte e si scontra con il silenzio di Dio. Il profeta si fa testimone di una fessura di luce in un panorama desolato: “il giusto vivrà per la sua fede”. Laddove vi è solo desolazione e violenza si apre possibilità di vivere nella sua radicalità l’esperienza del credere. Affidarsi è rimanere davanti al silenzio di Dio senza alcuna pretesa e mantenendo sospeso il grido davanti a Lui il cui mistero è presenza di amore. E’ il porsi di chi non ha soluzioni, di chi non si illude di vie facili o illusorie che tutto possa miracolosamente cambiare. Questo stare facendosi carico del grido di sofferenza di oppressi e maltrattati si fa abbandono e impegno: il giusto vivrà per la sua fede perché in modo paradossale, attesta con il suo stare una presenza e una promessa che non viene meno. Nel silenzio di Dio sta davanti al Dio dell’alleanza e della misericordia. Lo scatenarsi della disumanità, della violenza e dell’ingiustizia non avrà futuro, ha una scadenza, un termine: non è questo il progetto di Dio sulla storia. In questo ‘stare alla presenza di Dio’ il giusto – cioè colui che rimane fedele nonostante tutto – è rinviato ad una fiducia nella prova, a rimanere continuando a portare avanti nella sua vita i segni del Dio fedele. Da qui sgorga un impegno fattivo per cui il credere si fa solidale con chi soffre: operare giustizia là dove giustizia non c’è, seminare germi di pace nel deserto, offrire cura tra le vittime di armi sofisticate e potenti, portare speranza ‘come se vedesse l’invisibile’. Fede e speranza sono sguardo capace di accogliere la luce tra le lacrime del dolore.
La pagina di Luca ci invita a far nostra la preghiera degli apostoli a Gesù ‘accresci in noi la fede’. Gesù inviata a rimanere al proprio posto con fedeltà, come persone che svolgono il loro compito senza guardare ad interessi, a riconoscimenti o a risultati. Nella parabola si parla di servi inutili. Non è traduzione corretta perché nessuno è ‘inutile’ per il Signore. Piuttosto qui si indica che la condizione dei discepoli è quella di ‘semplici servi’. E’ l’attitudine di chi non ha altri fini ma si pone a disposizione con generosità non cercando qualcosa per sé ma perché ha scoperto la gratuità dell’amore quale segreto della vita. Vivere nella fede e nella speranza si concretizza nel vivere lì dove siamo ‘quanto dovevamo fare’, ossia la testimonianza – discreta, mite – di uno stile di agire, di un ‘fare’ che coinvolge la vita ispirato al vangelo e a null’altro.
Alessandro Cortesi op
