Domenica 19 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Es 17,8-13 Sal 120 2Tm 3,14-4,2 Lc 18,1-8
Di Suor Enrica Serena – Monastero di Milano🏠
La liturgia della Parola di questa domenica mette a fuoco il tema della preghiera, più precisamente la perseveranza della e nella preghiera.
Il Vangelo, in particolare, ci racconta una parabola efficace, esposta da Gesù proprio per raccomandare la necessità di pregare senza stancarsi mai. Il verbo greco utilizzato da Luca e tradotto con ‘stancarsi’ significa: scoraggiarsi, tralasciare. Gesù sa bene quanto è familiare all’uomo e alla donna l’esperienza dello scoraggiamento e la tentazione di ‘mollare’, quando le situazioni diventano difficili e impegnative. Nella vita come nella preghiera.
Cosa fare, come rimanere davanti a Dio, quando la stanchezza avanza e soprattutto quando si ha impressione di non ricevere risposta, sentendo quasi assente il Tu a cui ci si rivolge? La parabola non ci offre una soluzione teorica, ma ci fa entrare nel vissuto di una donna vedova che continua a chiedere giustizia, con tenacia, insistenza e ostinatezza; e rivolge questa richiesta a un giudice iniquo, che sembra
non aver alcuna intenzione di perdere tempo con lei.
La protagonista della parabola è anzitutto descritta in una condizione estremamente svantaggiata: è affettivamente provata dalla perdita di un marito, ha un avversario, che probabilmente le sta infliggendo qualche ingiustizia, è sola, non ha nessuno che la difenda; neppure il giudice che dovrebbe amministrare la giustizia è dalla sua parte. Sembra che la descrizione miri proprio a questa questione: come vivere
accettando una, o più mancanze, come riuscire a vivere la povertà, l’ingiustizia, la solitudine? Cosa fare in queste circostanze che tutti, prima o poi, magari in misura minore, si ritrovano a vivere? È possibile che questa condizione possa evolversi in un’apertura, in una sfida alla relazione, con l’altro e con l’Altro?
Infatti, anche se direttamente e istantaneamente non corrisposta, quella vedova rimane aperta, non curvata sulla sua ferita, aspettando che qualcosa accada.
Il modo con cui portare il limite è una scelta che tutti sono chiamati a fare: il limite, la sofferenza, la solitudine, l’ingiustizia subìta possono rinchiudere, isolare e incattivire oppure possono generare cose nuove, dischiudere degli inediti, avviare processi dove la vita continui a scorrere. Questa vedova, dunque, ci insegna che la capacità di rimanere perseveranti nella preghiera è connessa ai varchi che continuiamo a
tenere aperti, dentro e fuori di noi.
La seconda cosa che colpisce in questa figura femminile è la resistenza che sa mettere in atto. La sua è una resistenza umile e coraggiosa, che non si lascia intimidire, né intimorire dalla mancanza di risultati immediati. È la resistenza dei poveri, dei puri di cuore, di coloro che hanno sofferto, di coloro che la vita ha portato a maturare una pazienza quotidiana, non rassegnata. Questa resistenza è una delle declinazioni della speranza, della speranza autentica, che sa anticipare il futuro solcando il mare di un presente oscuro, con fiducia e tenacia incrollabili. Forse non si avrà la robustezza per rimanere sempre in piedi, ma anche con l’animo spezzato, si può decidere di non evadere. Il cuore può infatti essere attraversato dallo scoraggiamento, dal dubbio, da un senso di invincibile sconfitta, ma, insieme, può lasciar affiorare una forza -che lo Spirito Santo genera – che spinge a restare, fa rimanere, fa resistere. Nella vita come nella preghiera. E questa resistenza è stata premessa alla vita, alla giustizia.
Alla fine del vangelo troveremo un’altra donna, Maria Maddalena, che, come questa vedova, ha saputo tenere aperto un varco nel limite e ha deciso di non fuggire dinanzi al dolore e alla morte del suo Maestro.
Il suo perseverare e ritornare al sepolcro, anche per lei, è diventato lo spazio in cui la risurrezione ha potuto irrompere nella vita.



