Domenica 19 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Es 17,8-13 Sal 120 2Tm 3,14-4,2 Lc 18,1-8
Di Don Luciano Labanca🏠
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare sempre. È una delle poche volte in cui l’evangelista anticipa esplicitamente il significato della parabola, come se volesse farci capire che non si tratta di un semplice racconto morale, ma di una lezione di vita spirituale, qualcosa che tocca la sostanza del nostro rapporto con Dio. La scena è essenziale, quasi scarna: da un lato una vedova, sola, vulnerabile e senza difesa, dall’altro un giudice ingiusto e cinico, descritto come un “senza Dio” e senza rispetto umano. Due figure agli antipodi: la debolezza della vedova e il potere del giudice, l’impotenza della povertà e l’indifferenza di chi conta. Ed è esattamente attraverso questa sproporzione che Gesù svela il mistero della preghiera. La vedova è l’immagine di chi non ha più nulla su cui contare umanamente, se non la fiducia. Non possiede mezzi, non ha protezioni né garanzie. La sua unica forza è l’insistenza, la sua fede ostinata che non si arrende davanti al silenzio. È una donna audace: continua a bussare, continua a chiedere, continua a credere che da qualche parte, anche in un cuore duro, possa ancora scaturire un atto di giustizia. Il giudice, invece, è la figura della chiusura: un cuore indifferente, impermeabile alla voce di Dio e al dolore dell’uomo. Eppure, alla fine, egli cede, non perché mosso da alcuna bontà o misericordia, ma solo per egoismo, per evitare che la vedova lo importuni e lo stanchi ancora. È un paradosso: la perseveranza del debole smuove perfino l’indifferenza del potente. Gesù usa volutamente questo contrasto per portarci a una conclusione sorprendente, con una domanda aperta: “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?” (Lc 18,7). Se persino un giudice corrotto finisce per ascoltare una voce insistente, quanto più il Padre, che è buono e giusto, ascolterà i suoi figli che lo invocano nella fede. Gesù, tuttavia, non promette una risposta immediata: la giustizia di Dio non è un atto magico che risolve un problema, bensì un’opera lenta, un processo profondo e trasformante. Dio non è un “distributore automatico di grazie”, quindi non solo esaudisce la preghiera, ma la purifica, la educa e la trasfigura nel suo stesso amore. Sant’Agostino, nella Lettera a Proba, spiega così il senso della preghiera perseverante: “Dio conosce ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo; ma desidera che nelle preghiere si eserciti il nostro desiderio, perché diventiamo capaci di ricevere ciò che Egli prepara di donarci” (Lettera 130, 8,17). La preghiera, dunque, non cambia Dio, non modifica la sua volontà, ma piuttosto trasforma noi. È un cammino di fede che dilata il cuore e lo rende capace di accogliere il dono. Quando Dio sembra tacere, non è assente, ma ci sta formando. Il suo silenzio, che non è mai indifferenza, è lo spazio in cui la nostra fiducia matura, si purifica dalle pretese e diventa abbandono. Alla fine, il Vangelo si chiude con una domanda che ci trafigge: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Non si tratta più di chiederci se Dio ascolta le nostre preghiere, ma se noi continuiamo a credere alle sue promesse. La vera sfida della preghiera è la fedeltà nel tempo, la capacità di restare in piedi, come la vedova, anche quando nulla sembra accadere. Pregare sempre significa credere che Dio opera anche quando non vediamo, che la sua giustizia non ritarda, ma matura in segreto. “Chi prega, si salva; chi non prega, si danna”, diceva sant’Alfonso Maria de’ Liguori. La preghiera è il respiro della fede, è la scuola della speranza e della perseveranza. Quando smettiamo di pregare, smettiamo di respirare la vera vita di Dio. Essere cristiani vuol dire perseverare nella fatica, senza arrendersi alla stanchezza e alla tentazione del “tutto e subito”. È credere che, dietro ogni silenzio, si nasconde un Dio che prepara la sua risposta, e che quella risposta — anche quando non la comprendiamo — ha sempre in sé ragione che ci supera nel bene!

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)
«Mi chiedi: perché pregare? Ti rispondo: per vivere. Si, per vivere veramente, bisogna pregare. Perché? Perché vivere è amare: una vita senza amore non è vita. È solitudine vuota, è prigione e tristezza. Vive veramente solo chi ama: e ama solo chi si sente amato, raggiunto e trasformato dall’amore. Come la pianta che non fa sbocciare il suo frutto se non è raggiunta dai raggi del sole, così il cuore umano non si schiude alla vita vera e piena se non è toccato dall’amore. Ora, l’amore nasce dall’incontro e vive dell’incontro con l’amore di Dio, il più grande e vero di tutti gli amori possibili, anzi l’amore al di là di ogni nostra definizione e di ogni nostra possibilità. Pregando, ci si lascia amare da Dio e si nasce all’amore, sempre di nuovo. Perciò, chi prega vive nel tempo e per l’eternità. E chi non prega? Chi non prega è a rischio di morire dentro, perché gli mancherà prima o poi l’aria per respirare, il calore per vivere, la luce per vedere, il nutrimento per crescere e la gioia per dare un senso alla vita. Mi dici: ma io non so pregare! Mi chiedi: come pregare? Ti rispondo: comincia a dare un po’ di tempo a Dio. All’inizio, l’importante non sarà che questo tempo sia tanto, ma che Tu glielo dia fedelmente. Fissa tu stesso un tempo da dare ogni giorno al Signore, e daglielo fedelmente, ogni giorno, quando senti di farlo e quando non lo senti» (B. FORTE, Lettera sulla preghiera).
Preghiera
Signore, tu conosci tutto di me,
quello che voglio e quello che faccio;
conosci il mio bisogno di amicizia e di bontà,
di speranza e di verità.
Signore, ho voglia di pregare
perché tu me lo hai insegnato,
perché chi prega riceve la tua fortezza.
Aiutami a pregare
col cuore e con le parole,
di giorno e di notte.
da solo e con gli altri.
Insegnami a pregare per dirti grazie,
per crescere nella fede,
per camminare nella speranza.
per vivere la carità.
Signore, ti ringrazio perché,
quando penso a qualcosa di grande, penso a te;
quando mi sento vuoto, vengo da te;
quando prego, riesco a vivere come piace a te.
Signore, ti prego per quelli che sono soli,
per quelli che nessuno vuole.
Ti prego perché tu sei sempre
la forza dei deboli,
la speranza dei poveri,
la salvezza dei peccatori.
Don Luciano Labanca, del clero di Tursi-Lagonegro (Italia), è laureato in diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense.




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