Domenica 26 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 35,15-17.20-22 Sal 33 2Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14
Di
Non è facile mettersi di fronte alla pagina evangelica che quest’oggi la Liturgia ci propone; è una pagina scomoda che ci interpella tutti e ci invita a chiederci: a chi assomiglio di più io? Al fariseo o al pubblicano?
Gesù ci mette di fronte allo specchio delle nostre responsabilità, dei nostri giudizi, dei nostri pregiudizi… alle prese con il nostro sguardo malato, distorto, ingannevole, che ha la presunzione di salire sul piedistallo e di guardare dall’alto i compagni di viaggio, i vicini di casa, forse anche i lontani anni luce… Una nuova parabola offerta dall’amico Gesù per spiegare con parole semplici quanto la superbia possa offuscare i nostri occhi e il nostro cuore, quanto spesso viviamo nella convinzione di essere noi “i giusti” e pertanto pronti a disprezzare gli altri, con i loro limiti e le loro fragilità.
“Due uomini salirono al tempio a pregare”. Tutto parte da un cammino in salita, dalla fatica di ciascuno di noi per prendere il coraggio di andare a mettersi davanti al Signore, portando se stesso nella verità. Infatti non è facile mettersi a nudo; è un’operazione che richiede la forza di accettare di essere scrutati dall’occhio divino che, con misericordia e sapienza, sa indicarci le correzioni da apportare alla nostra direzione. Spesso non lo ascoltiamo nemmeno, questo Dio che può sembrarci fastidioso, invadente, convinto di sapere qual è la cosa giusta per la mia vita… Molto più facile una fede “fai da te”, una fede che ha smarrito il suo valore evangelico, una fede… da vetrina.
Questa mattina Gesù ci riporta al tempio, ci fa salire e ci obbliga a guardarci dentro, a scoprire che tipo di preghiera vive dentro di noi; a verificare se davvero dentro di noi si realizza un dialogo con Dio autentico o se, invece, i nostri sono solo monologhi unidirezionali, che non chiedono ma pretendono, che non si nutrono di relazione ma si alimentano di giudizi con l’indice puntato, di chiusure del cuore e dell’anima.
“Uno era fariseo e l’altro pubblicano”. Due categorie religiose per certi versi contrapposte; i primi molto stimati all’interno della comunità, a motivo della loro adesione puntigliosa alla legge di Mosè; i secondi invece con una pessima fama, considerati come frodatori perché collaboravano con l’Impero Romano, riscuotendo le tasse a favore degli invasori.
Gesù ce li mette davanti tutti e due, quasi a chiederci “Chi volete salvare? Chi condannare?” In realtà non intende escludere nessuno, ma vuole farci riflettere su quanto siamo abituati a giudicare e a condannare a prescindere da una vera conoscenza delle persone.
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé”: il fariseo sceglie di rimanere in piedi, non si abbassa a inginocchiarsi di fronte al Signore, lo affronta alla pari, stando in piedi, faccia a faccia. Un atteggiamento che mette in evidenza la sua superbia; una preghiera che in realtà è soltanto un monologo interiore: pregava tra sé… Ringrazia il Signore per non essere come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri… Lui invece si attiene alla Legge, digiuna due volte alla settimana, paga le decime… e questo gli basta per farlo sentire in pace con se stesso e con Dio.
La pagina evangelica mette in discussione noi uomini e donne di questa difficile epoca moderna; abituati come il fariseo a giudicare gli altri, a starcene sul nostro terrazzo a sparare sentenze; a selezionare, approvare o cancellare dalla faccia della terra… Però paghiamo le tasse, non diciamo parolacce, non beviamo alcolici, siamo ecosostenibili, attenti ai bisogni della famiglia e dei vicini simpatici…
Ma Dio ha la vista lunga, si prende a cuore la nostra salvezza e ci mette in guardia dalle derive dall’autocompiacimento; ci chiede di fare uno sforzo in più, di ascoltare la sua voce nella nostra preghiera e smettere di ascoltare solo noi stessi. Occorre uscire dal nostro “io” e ricominciare a prendere in considerazione il nostro Dio.
Alla figura del fariseo che, in piedi, prega tra sé, il Vangelo contrappone quella del pubblicano che invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Un uomo che non ha il coraggio di avanzare nel tempio e sceglie di fermarsi a distanza, tra gli ultimi, in segno di umiltà, di attesa della compassione e della misericordia del Signore. Un uomo che ammette la sua finitudine, il suo peccato. Chi avrebbe mai scommesso sul “pubblicano”? Come con il samaritano della famosa parabola: chi si sarebbe aspettato che si fermasse al bordo della strada e si abbassasse sul moribondo? La fantasia di Dio non ha limiti, è un Dio che non si stanca mai di scommettere sull’uomo, sulla sua libertà, sulla sua capacità di amare e di chiedere perdono, di destabilizzare e di sovvertire gli schemi tradizionali. “Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.
La grandezza di questa pagina evangelica sta proprio nella semplicità delle sue parole, il sunto di questa lettura potrebbe racchiudersi nella formula: “O Dio, abbi pietà di me…”; il modo più facile e immediato di entrare in relazione con Dio, senza grandi sermoni, senza cercare scuse o giustificazioni ai nostri comportamenti devianti. Come a un padre al quale abbiamo fatto un torto, dire: “Babbo, scusami, ti chiedo perdono”. Non occorrono tante parole, ne bastano poche, buone, sincere; e la relazione può ricominciare più forte di prima.
Nel sacramento della Confessione o Riconciliazione sperimentiamo proprio questo, l’amore infinito di Dio che non si perde in troppe chiacchiere o prediche; ci accarezza, ci abbraccia e ci lascia la libertà e la responsabilità di ripartire nella Sua luce.
Non importa che tu sia un fariseo o un pubblicano, l’importante è accorgersi di quanto questo Dio, Padre buono e misericordioso, sia sempre dalla nostra parte nonostante gli errori, le mancanze, le distanze; “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti”: così il Salmo di oggi ci ricorda quanto il Signore si faccia prossimo di tutti coloro che stanno affrontando le prove della vita. Un Signore che con il suo amore riesce a mettere insieme i cuori spezzati, ridonando loro vita e battito, liberandoli da tutte le loro angosce.
E allora, in questa domenica, lasciamoci toccare dalla mano di Dio, facciamo in modo che “i farisei e i pubblicani” della nostra città possano incontrarsi, guardarsi negli occhi, scoprirsi simili e tutti bisognosi dell’affetto del Padre; c’è un’unica legge che dobbiamo seguire, è la legge dell’Amore, così semplice e così tremendamente complicata… ma l’unica in grado di costruire un regno di Verità, di Pace e di Giustizia.
Buona domenica nella gioia del Signore.



