Domenica 26 Ottobre (DOMENICA – Verde)
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 35,15-17.20-22 Sal 33 2Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14
di Lila Azam Zanganeh🏠
Gesù è come uno specchio. Ci mostra una realtà invertita. Con le parole di Shakespeare nei primi versi del Macbeth: il bello è brutto e il brutto è bello. Nel Vangelo di Luca, egli parla di «alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri». È un episodio in apparenza semplice. Solo poche righe, scarsi commenti, quasi nessuna trama. Ma nelle ellissi di questa storia, attraverso lo specchio, qualcosa luccica, silenziosamente.
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano». Quindi l’unica ambientazione, come un disegno di Piranesi, è il tempio: Visione di antichità in inchiostro e gesso. Nella parabola, immagino due uomini non troppo distanti tra loro. «Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”». Mi piace il pronome dimostrativo “questo”; implica sdegno, addirittura disprezzo. Mi piace anche il fatto che Gesù all’improvviso ci situi in un monologo interiore, una narrazione in terza persona ravvicinata. Ricordiamo che anche Paolo di Tarso era un fariseo, principe tra gli ipocriti. «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io», dice Paolo in Timoteo. Tuttavia ha finito col diventare l’Apostolo dei Gentili, viaggiando in lungo e in largo per diffondere la Buona Novella.
Ritornando alla parabola narrata in Luca, ecco che cosa il fariseo sussurra a se stesso più di 2000 anni fa: «Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». È presuntuoso e si crede privilegiato. Pensa che poiché osserva gli editti e paga il tributo al tempio, ha tutti i diritti di stare nella casa di Dio. Il pubblicano, invece, «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”». Quindi il pubblicano prova disprezzo per se stesso. Non alza nemmeno lo sguardo verso Dio, verso il cielo e la luce. Si batte il petto, come fanno i musulmani sciiti quando recitano il lutto nella festa di Ashura: “O, la pace sia su di voi”, cantano. Qui il pubblicano non chiede altro che misericordia per i suoi peccati. Possiamo facilmente immaginare quali sono: avarizia, avidità, anche lussuria. Possiamo immaginare il pubblicano che taglia un pollo arrosto, con timo e sale, un banchetto che veniva preparato già ai tempi di Gesù. Possiamo immaginarlo mentre usa le sue monete per spassarsela con le prostitute. Possiamo vederlo giocare d’azzardo come Matteo, a poche centinaia di iarde di distanza, sotto un sole cocente.
Ma nel momento di svolta della storia, Gesù conclude: «Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». È questa l’essenza, la morale allo specchio. La superbia, la presunzione, verrà sradicata nella resa dei conti spirituale. Le regole non bastano. E questo, a sua volta, è il messaggio rivoluzionario: le regole sono poco rilevanti. Conta solo il cuore. Chi è umile di cuore, e quindi nella preghiera, verrà elevato alla luce più alta. Riposerà nel petto del Signore. (lila azam zanganeh)



