Sabato 1 Novembre (SOLENNITA’ – Bianco)
TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14 Sal 23 1Gv 3,1-3 Mt 5,1-12
Di
Sono pochi o tanti i Santi? Oggi poco importa per chi, come noi,
ha occhi per l’invisibile o semplicemente ha un cuore che batte
e si emoziona. Perché la festa di tutti i Santi è una immensa
convocazione. Se chiudiamo gli occhi vediamo questa nostra
piccola chiesa riempirsi di santi, i santi di ciascuno di noi, i
nostri santi.
Il tempo ha impallidito le parole “santi e santità”, sino ad imprigionarle in un privilegio per pochi: i santi
degli altari, quelli canonizzati. E i primi ad essere tristi di questa riduzione, dopo Dio, penso siano proprio
loro, i Santi. A volte noi imprigioniamo ciò che non è imprigionabile. All’inizio infatti non fu così e la
parola “santi” era per dire semplicemente i credenti, i cristiani. Che di certo non abitavano i cieli ma la
terra.
E la prima beatificazione quando è stata? Non sarà che ci siamo scordati che avvenne all’aria aperta
senza cerimonie e furono beatificati uomini e donne in carne e ossa, con i piedi per terra ma come
accesi in viso dall’orizzonte che Gesù spalancava davanti ai loro occhi. Aveva iniziato così e guardava
proprio loro.
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché
saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”. E Gesù guardava loro. Li fissava e li
diceva beati. Era come se Gesù avesse occhi per ogni dettaglio della vita, per ogni circostanza, per ogni
sentimento, per ogni gesto. E dicesse che la beatitudine era là, in loro e non chissà dove.
Le beatitudini di Gesù non parlano di estasi, non parlano di miracoli né di preghiere o digiuni.
Nell’elenco di Gesù sul monte fa capolino da ogni dove la piccolezza, fin dal principio: “Beati i poveri in
spirito”, cioè quelli che si sentono piccoli davanti a Dio e mettono in lui solo la loro forza e la loro fiducia.
Poi nelle parole della montagna è un susseguirsi di ritagli di umanità sorpresa nella disarmante
normalità: il pianto, la mitezza, la sete, la fame di giustizia, la limpidezza del cuore, la costruzione della
pace, la persecuzione per passione di giustizia e di vangelo. Sono squarci, per dire l’attenzione di Dio alla
vita, alla nostra vita, nella sua piccolezza e nella nostra fragilità.
La santità è senza clamore. La santità non è eroica perché si esprime nel quotidiano, nella vita normale.
La santità è la normalità del bene. Il peccato è la banalità del male.
Per la suggestione di queste parole che nascono dal vangelo e ci riportano al vangelo, quest’anno mi si è
affacciato, un pensiero riguardo alle reliquie. E ho pensato che, se la santità è la normalità del bene nella
vita, di reliquie di santi ne abbiamo colme le nostre case, le nostre famiglie, le nostre comunità e le
nostre strade. Reliquia significa ciò che rimane. Dunque reliquia santa è ciò che rimane di una vita che
aveva dentro il soffio di Dio.
Sono arrivato a pensare che oggi possiamo e dobbiamo accendere una candela, come davanti a una
reliquia, ai crocicchi della strade dove sono accaduti i gesti che non vanno sui giornali perché sono
ritenuti normali e comuni. Di più vorrei dirvi che le reliquie preziose sono dentro di noi e un lume
andrebbe acceso, se fossimo coscienti che noi siamo impastati come il pane da quei santi che abbiamo
incontrato, di quelli con cui abbiamo vissuto. Accendiamo un lume davanti a un volto. Ai loro volti! E
prima di tutto al soffio di Dio che è la fonte della vita santa.
Santità è vivere la propria umanità, viverla fino in fondo, raccogliendo della nostra vita tutte le briciole
della santità di Dio. Santo è chi come Dio sa ascoltare, sa asciugare lacrime. Santo è chi apre strade di
pace, chi sente sulla propria pelle ogni ferita inferta al creato e all’umanità. La santità non è proprietà di
una religione: in tutte le fedi si manifesta la santità di Dio. Per noi oggi santità è diventare il Vangelo che
ogni domenica ascoltiamo per vivere.



