Suor Chiara Emanuela “Laudato si mi Signore, per nostra morte corporale”

Domenica 2 Novembre (COMMEMORAZIONE – Viola o Nero)
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)
Gb 19,1.23-27   Sal 26   Rm 5,5-11   Gv 6,37-40

Di Suor Chiara Emanuela – Monastero di Bra🏠home

L’idea di commemorare in un’unica ricorrenza tutti i morti risale al secolo IX grazie all’abate benedettino sant’Odilone di Cluny. Il significato è quello di pregare le per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro dei quali solo Dio ha conosciuto la fede. Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, la liturgia riserva sempre un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. Il colore liturgico di questa commemorazione è il viola, il colore della penitenza, dell’attesa e del dolore, utilizzato anche nei funerali. La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. È solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio. La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile bontà e misericordia di Dio«Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Il tema è ripreso con potenza espressiva dall’apostolo Paolo che colloca la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile. I discepoli sono chiamati alla medesima esperienza, anzi tutta la loro esistenza reca le stigmate del mistero pasquale, è guidata dallo Spirito del Risorto. Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone. Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno. Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti sulla terra hanno lasciato all’umanità, e il loro contributo all’aumento della fede, della speranza, della carità e della grazia nella Chiesa.

Nel finale del Cantico di san Francesco, di cui celebriamo gli 800 anni, il Santo ci ricorda che esiste anche una morte dell’anima, oltre all’inevitabile morte corporale, e serve perciò vivere nella volontà di Dio.

“Il Cantico delle Creature è un aiuto a vivere bene, nello stile di san Francesco che, senza prediche o rimproveri, ma come «giullare di Dio», canta quello che vive e che ha nel cuore, lasciando che la sua fede lo riempia di gioia contagiosa e invitandoci a fare altrettanto. Davvero Francesco è un uomo che si immerge in Dio e la sua relazione con Dio trasforma e rinnova il suo rapporto con ciò che lo circonda: senza che ce ne accorgiamo il santo di Assisi con questo Cantico, col canto e col sorriso sulle labbra, è riuscito a rimproverarci ben bene, noi che ci diciamo cristiani, ma che poi viviamo la vita come tutti gli altri! Un dolce rimprovero, velato dal canto e dalla poesia. Con la lode per le creature, prima di tutto ci richiama a non vivere solo di lamento per ogni cosa, a non dare per scontate tutte le cose belle della vita, ma a imparare a lodare per i doni infiniti di cui Dio ci circonda ogni giorno. Con la strofa sul perdono, le malattie e le prove della vita, ci indica la strada per la vita beata, una vita che non vive con rassegnazione i momenti più difficili, ma ci invita a viverli in Dio perché con Lui sempre si può fiorire e portare frutto: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca…» (Vangelo di Giovanni 15,4-6). Infine, nell’ultima strofa, affronta la sfida più difficile per l’uomo: la morte. E non ci fa sconti: noi che vorremmo tremare di fronte alla morte e disperarci… lui invece loda Dio, quasi a sfidarci a continuare a essere tristi, quasi a sfidarci a contraddirlo!

Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skampare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Ci ricorda anzitutto quello che noi sappiamo, ma che spesso dimentichiamo: che il termine «morte» è un termine generico, perché esiste la morte del corpo, ma anche la morte dell’anima. Con tre passaggi semplici collegati fra loro Francesco vuole porci davanti all’evento della morte nel modo migliore. Sembra dirci in primo luogo: voi vi preoccupate tanto della morte corporale, ma della morte dell’anima, del peccato, di vivere male ed egoisticamente, di questo nessuno si preoccupa! È questo il vero problema: non la morte, ma come si vive! Francesco è evangelico richiamando il passo di Gesù: «E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Vangelo di Matteo 10,28). 

Inoltre, come seconda argomentazione con termini molto forti, il Cantico ci ribadisce – a scanso di equivoci – che la «morte corporale» è inevitabile e per quanto uno si affanni a sfuggirle, prima o poi la incontrerà («nullu homo vivente pò skampare»): questa consapevolezza però, per Francesco, non deve dare tristezza, al contrario deve dare una scossa positiva e spingere a considerare la preziosità della vita, di ogni singolo istante, e l’importanza di vivere bene! Infine, il terzo passaggio: dopo aver detto come non vivere il rapporto con la morte, ci apre alla prospettiva evangelica positiva.

Essere trovati, nel momento della morte, nella volontà di Dio… e quindi – visto che non sappiamo quando «sorella Morte» verrà – vigilare su sé stessi per poter vivere ogni istante della vita nella sua «santissima volontà», che la morte dell’anima (chiamata «morte secunda») non ci colpirà. Che bello morire senza scomparire, senza condanna, ma essendo accolti nel «seno di Abramo» (Vangelo di Luca 16,22), tra le braccia di Dio! A chi cerca di vivere nella volontà di Dio, quindi, la morte apparirà sorella, perché ci introdurrà nella piena comunione con Dio. Quel Dio che avremo amato e servito nella vita sarà anche colui che ci accoglierà nelle dimore eterne e all’incontro ci accompagnerà nostra sorella Morte… che ci schiuderà la porta della vita piena, la vita con Dio.

Non abbiate paura della morte corporale… perché «se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,8-9)”. (L’autore è Commissario di Terra Santa per Assisi e l’Umbria)