Don Marco Ceccarelli Commento Festa della Santa Famiglia

Domenica 28 Dicembre (FESTA – Bianco)
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO A)
Sir 3, 3-7.14-17   Sal 127   Col 3,12-21   Mt 2,13-15.19-23

Di Don Marco Ceccarelli 🏠home

Testi di riferimento: Es 1,22; 4,19.22; 20,12; Lv 19,3; Est 1,20; Pr 5,18-19; 6,20; Qo 9,9; Os 11,1;
Mal 2,14-16; Mt 10,23; 15,4-6; Mc 3,21.31-35; 6,3; Gv 7,3-5; 18,5.7; 19,19; At 24,5; 1Cor 11,3; Ef
5,22-27.33; 6,1-4; Tt 2,4-5; Eb 12,5-11; 1Pt 3,1-7; Ap 12,4.6.14.17

  1. Il ruolo della famiglia.
  • Per entrare nella società degli uomini il Figlio di Dio passa attraverso quella cellula sociale primaria che è la famiglia. Questo atto di “inculturazione” è eloquente: la famiglia – che non è ovviamente una invenzione né giudaica né cristiana – fa parte del disegno di Dio riguardo la vita dell’uomo sulla terra; non è legata ad un modello culturale che possiamo ritenere sorpassato. C’è un dato fondamentale inequivocabile che accomuna qualsiasi essere umano presente o futuro: nessuno di noi ha origine in se stesso, ma in altri. All’origine di ciascuno c’è un padre e una madre, un gamete maschile e uno femminile. E noi siamo il risultato di questo incontro fra un maschile e un femminile. Ma non solo. All’origine di ciascuno c’è qualcun altro che lo ha accolto, che lo ha nutrito, che lo ha allevato, che lo ha educato. L’insieme di tutti questi “altri” è ciò che chiamiamo famiglia, comunque la vogliamo intendere. Una famiglia – ed è bene ricordarlo – che non esisterebbe se non a partire dall’incontro fra un uomo e una donna. Di questa “struttura” fondamentale ha voluto far parte lo stesso Dio facendosi uomo.
  • Entrare a far parte di una famiglia significa accettare tutto il rischio che tale atto comporta. Il rischio di essere impotente come un neonato, di essere esposto alla malattia e alle cattiverie altrui, di essere condizionato nelle proprie scelte dai legami affettivi, e anche il rischio di essere considerato fuori di testa dai propri familiari per seguire la volontà di Dio (Mc 3,21). Ma se il Figlio di Dio ha fatto ciò significa che non si può bypassare la famiglia. Bypassare la famiglia, per qualsiasi fine, non è consentito – diciamo così – nemmeno a quell’autorità suprema che si chiama Dio. Possiamo dire che la famiglia è il canale attraverso il quale la salvezza è entrata nel mondo. Questo fa parte del progetto di Dio. E quando Gesù lascerà la sua famiglia lo farà soltanto per dar vita ad una sua “famiglia” che risponderà al nome di Chiesa.
  • Le prime due letture mostrano che la famiglia ha bisogno, al pari di ogni realtà sociale, di un suo ordine interno, di una armonia fra le sue componenti. Un’armonia che si esercita da un lato nel rispetto di tutti, perché sotto questo aspetto tutti godono di pari dignità; e dall’altro nell’esercizio del proprio ruolo, che è invece diverso per ciascuno. Ogni componente della famiglia è chiamato ad esercitare il suo ruolo per il bene di tutti. Abdicare a ciò o ribellarsi verso il ruolo altrui è un danno irreparabile per la famiglia e di conseguenza per la società. Nei racconti dell’infanzia che si leggono in questo periodo natalizio appare molto chiaramente come nella Santa Famiglia di Nazareth ognuno ha svolto un ruolo preciso e diverso a vantaggio di tutti, soprattutto a vantaggio del disegno divino.
  1. Il Vangelo.
  • Nel Vangelo di questa domenica – siamo sempre nei racconti dell’infanzia di Mt – domina ancora la figura di Giuseppe. È lui al centro della scena, a differenza del Vangelo di Lc dove invece prevale Maria. Che sia lui il protagonista principale è significativo, perché fra i tre personaggi della santa famiglia Giuseppe è il meno quotato. Infatti da un lato abbiamo Maria che è stata scelta da Dio per il privilegio singolarissimo di concepire per opera dello Spirito Santo. Dall’altro abbiamo addirittura il Figlio stesso di Dio. Giuseppe, di fronte a tali figure, dovrebbe quasi sparire (un po’ come di fatto succede nel Vangelo di Lc). Invece in Mt tutto ruota intorno a lui. Sembra che tutto dipenda da lui. I destini della santa famiglia, e quindi del Messia, e quindi della futura salvezza, sono nelle mani di quest’uomo “comune”.
  • Giuseppe è chiamato a farsi carico di fatti che lo superano. I progetti di Dio superano sempre le nostre forze, appaiono come ingestibili. Però Dio, che ha chiamato Giuseppe a far parte del suo piano di salvezza, lo incarica di assumersene tutto il peso. La figura di Giuseppe mostra che Dio si serve di gente normale e debole come noi per attuare la salvezza, se solo uno accetta la sua mediocrità e si abbandona a Dio. La grandezza di Giuseppe è la sua umiltà, che consiste nel non aver detto: “Io sono incapace per questa opera, chiama un altro” (come aveva tentato di fare Mosè). Giuseppe sa di non essere capace, di non essere all’altezza; quando ha saputo che Maria era incinta per opera dello Spirito Santo voleva ritirarsi. E in effetti nessuno può presumere di essere all’altezza dei piani di Dio. Ma quando Dio nondimeno lo chiama egli non si tira indietro, questo è il segno della sua umiltà. Il superbo non accetta di fare cose più grandi di lui, di esporsi al ridicolo, o addirittura al pericolo, e vorrebbe essere sempre all’altezza e in controllo delle situazioni. Per questo il maggior superbo è chi ha complessi di inferiorità, non vuole mai incarichi; oppure quando li ha tende ad affermare se stesso, a discapito delle persone che deve servire. Non è capace di fare la persona qualunque, ed è quasi impossibile per lui obbedire ad un altro. Giuseppe non è un complessato; accetta che quel figlio non sia suo, ma soltanto di Maria, accetta di non essere lui il Messia, né il padre del Messia. Giuseppe accetta di essere uno qualunque e di essere un “mero” esecutore di ordini, senza nemmeno ricevere spiegazioni su quello che dovrà avvenire in seguito. Impressiona il fatto che egli non dica assolutamente una parola, né per fare un’obiezione, né per chiedere spiegazioni o chiarimenti sul futuro. Fa semplicemente quello che gli viene detto, momento per momento. In questo sta la sua grandezza. Grazie a tale umiltà Dio farà attraverso Giuseppe cose grandiose.
  • Allo stesso modo con ciascuno di noi. C’è un progetto di Dio sulle nostre famiglie, le quali possono diventare delle famiglie cristiane, ad immagine della santa famiglia, nella misura in cui si accetta l’apparente mediocrità della propria esistenza e di noi stessi. C’è un progetto di Dio per ciascuno di noi che supera abbondantemente quello che ci siamo fatti noi stessi. Il progetto di Dio va svelandosi giorno per giorno e possiamo attuarlo nella misura in cui siamo disponibili ad ascoltare Dio che ci parla e ad obbedirgli.
  • Il ruolo del padre. Maria non toglie il posto al marito. Nella santa famiglia ognuno ha un suo ruolo
    e deve compiere quel ruolo. L’angelo non si rivolge a Maria, benché fosse “piena di grazia” e avesse concepito “per opera dello Spirito Santo”. Maria non rivendica per sé un ruolo di preminenza.
    Allo stesso tempo, Giuseppe sta al completo servizio di Maria e del bambino. Ognuno sta al suo posto e fa esattamente quello che gli spetta. Nella santa famiglia vediamo realizzato quanto san Paolo
    indica alle famiglie cristiane: Maria sta sottomessa al marito (Col 3,18; Ef 5,22-24); Giuseppe ama
    la moglie ponendosi completamente al suo servizio (Col 3,19; Ef 5,25ss.).
  1. Nella Santa Famiglia si contempla ciò che significa aver dato la propria vita ad un altro. Nessuno fa la propria volontà, ma quella di un altro, che alla fin fine è Dio stesso. La Santa Famiglia è una famiglia “aperta”, cioè disponibile alla volontà di Dio. Non è una realtà chiusa, accartocciata su se stessa, preoccupata di sopravvivere, di risolvere i piccoli problemi quotidiani, senza vedere la grandezza della missione a cui è chiamata. Tutti vivono in contemplazione del progetto divino che va svolgendosi nella loro vita e attraverso la loro vita; un progetto che, pur non capendo tante volte, vanno tuttavia assecondando. Grazie a Giuseppe e a Maria la salvezza è arrivata agli uomini. Dio può operare quello che vuole anche senza di noi. Tuttavia ha voluto dare agli uomini il privilegio di partecipare all’opera della salvezza. Nella Chiesa tutti partecipiamo dell’onore di essere collaboratori di Dio nel portare Cristo, e quindi la salvezza, agli uomini.

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