fr. Massimo Rossi Commento II Domenica di Quaresima (Anno A)

fr. Massimo Rossi

II Domenica di Quaresima (Anno A) (08/03/2020)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Siamo al capitolo 12 della Genesi; da quando Adamo ed Eva lasciarono il paradiso terrestre, sono accadute molte cose: la vocazione di Noè, il diluvio, il dramma della torre di Babele, i patriarchi, tra i quali, ultimo, Abramo. Dalla vocazione di Abramo in poi, il primo libro della Bibbia sviluppa la storia di questa vocazione: Isacco, figlio di Abramo – conosciamo tutti la vicenda del suo sacrificio – è padre di Giacobbe, e Giacobbe è padre di Giuseppe, colui che precederà l’intera famiglia in Egitto.

Abramo è riconosciuto padre della fede da tre confessioni religiose: EbreiCristiani e Musulmani. Il suo esempio di dedizione, di fiducia, di obbedienza, di abbandono alla volontà di Dio è il simbolo di una relazione riuscita con Dio. Una relazione riuscita, sì, ma tutt’altro che facile. Leggete la sua storia e forse capirete i drammi – non uno solo, ma almeno tre! – che Abramo si trovò a vivere e fu in grado di superare solo grazie alla fede: lasciare la sua terra per andare dove non sapeva; desiderare un figlio per tutta la vita, e averlo solo in vecchiaia; e questo figlio, non poterlo sentire suo fino in fondo, neppure un giorno.

Quante cose ci può insegnare Abramo! Il suo esempio viene esaltato da Gesù, e dopo di Lui, da san Paolo nella lettera ai Romani, infine dal misterioso autore della lettera agli Ebrei.

Eppure…. nell’affresco della trasfigurazione di Gesù, non c’è Abramo, ma il profeta Elia e Mosè.

Le gesta di Elia, vissuto otto secoli prima di Cristo, sono narrate nei due Libri dei Re; Mosè, più popolare di Elia, vissuto dieci secoli prima di Cristo, è il protagonista principale del libro dell’Esodo, colui che sul monte Sinai ricevette le tavole della Legge, con le quali Dio concluse l’Alleanza con il suo popolo.

Il fatto assolutamente straordinario della trasfigurazione si verifica nel bel mezzo di una discussione che Gesù stesso aveva provocato, ponendo ai Dodici la fatidica domanda: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? (…) Voi chi dite che io sia?”: un quesito che nessuno di noi può evitare. La fede non ha valore se la persona nella quale è riposta è un perfetto sconosciuto.

Allora la domanda rimbalza ai giorni nostri e attende una risposta da ognuno di noi…………….

Chi se la sente di salire al microfono a dichiarare pubblicamente chi è Gesù per lei, per lui?
Meglio tornare al Vangelo.

Di che cosa abbiano parlato Mosè, Elia e Gesù, ce lo riferisce san Luca, al cap.9 del suo Vangelo (v.30): della dipartita di Gesù che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. La questione era già stata annunciata dal Signore prima di essere trasfigurato, provocando una reazione violenta da parte di Simon Pietro: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai” (v.22). La risposta del Maestro era stata ancor più violenta: “Torna dietro, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. (…) Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.” (v.24).
Dopodiché Gesù si trasfigura…

Non si tratta di un ‘contentino’ per addolcire la pillola di quel ferale annuncio… La trasfigurazione ha l’intento di rinsaldare la fede nel Cristo, che il principe degli apostoli aveva bensì confessato, ma senza rendersi conto delle implicazioni che quel nome portava con sé…

Ecco la grande sfida delle fede: tenere insieme la divinità di Gesù, risplendente come e più della luce, e la sua umanità, fragile, umiliata, vilipesa, crocifissa.

Non basta la coordinata divina; non basta la coordinata umana; ci vogliono tutte e due.

Se questa impresa non fosse già abbastanza difficile, la questione si complica ancor di più: credere che Gesù è il Cristo, significa mettere in conto che la sua passione diventerà anche la nostra passione! Non è una frase ad effetto, non è un modo di dire,…

Il Signore parla proprio di croce, riferendosi alla nostra croce. La verità della fede, se questa sia reale, o soltanto formale, emerge nel momento della croce, nella misura in cui avremo il coraggio di salirci sopra, dopo averla portata, senza sapere per quanto tempo, né dove ci condurrà; così come Abramo accettò di partire, senza conoscere in anticipo la direzione, né la durata del viaggio.

Sia chiaro: non intendo esaltare il dolore in quanto tale! il dolore non è mai, intrinsecamente, un bene e dunque non si può benedire come dono di Dio, men che meno augurare!

Al tempo stesso, la croce è il termine della missione Gesù (cfr. Gv 12,27-28); sulla croce Gesù raggiunge il fine per il quale si è fatto uomo, diventa il Cristo, quel nome che Pietro aveva confessato, ma che il Signore non aveva ancora realizzato nel suo corpo; per questo proibì ai Dodici di pronunciarlo e predicarlo.

Gesù nazareno è per noi un simbolo: come Lui diventò pienamente se stesso accettando la croce, anche noi faremo verità su noi stessi accettando quotidianamente, con pazienza, la nostra croce.

Per questa fede, per questa obbedienza, per questo abbandono al Padre, Gesù diventò il Cristo.

Per la nostra fede, per la nostra obbedienza, per il nostro abbandono al Padre, noi diventeremo dei veri cristiani.

Fonte:https://www.qumran2.net/

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