II Domenica di Quaresima – Anno A – 2020
Rinnegare se stessi e seguire Gesù non significa perdere ma acquistare.
Per comprendere bene il messaggio del brano evangelico di questa domenica è necessario richiamare il contesto. Sei giorni prima della “trasfigurazione”, Gesù aveva rivelato apertamente ai suoi discepoli che, arrivato a Gerusalemme, avrebbe dovuto «soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno». I discepoli erano rimasti sconcertati, tanto da suggerirgli – Pietro in testa – di cambiare strada. Invece Gesù senza mezzi termini li aveva messi di fronte alla necessità di scegliere: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Possiamo immaginare benissimo lo stato d’animo dei Dodici. Essi sono chiamati a uscire dalla “loro terra” come Abramo. Come ogni credente. Lasciare “la propria terra”, i propri progetti, è difficile. Ci voleva un rinforzo di coraggio. Ed ecco il lampo di gloria del Tabor. Ecco Gesù “trasfigurato”: «lI suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce».
Attenti! Gesù non si trasfigura: “fu trasfigurato”. È il Padre a trasfigurarlo. Questo ci suggerisce che anche egli come uomo aveva bisogno di incoraggiamento. Così come nel deserto il Padre aveva mandato gli angeli “a servirlo” – così come gli manderà l’angelo a consolarlo nell’orto degli ulivi – adesso gli assicura la sua predilezione: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»; e incoraggia i suoi discepoli ad ascoltarlo: «Ascoltatelo».
Pietro, Giacomo e Giovanni – i tre più difficili da convincere alla logica del servizio – affascinati da quel lampo di gloria, avrebbero voluto rimanere per sempre lassù, dove non sono in azione gli anziani, i capi dei sacerdoti e gli scribi…, cioè le contrarietà, le fatiche, le incoerenze, le cadute, le sofferenze che la fede incontra nella pianura, nelle strade del quotidiano. Chi non vorrebbe vivere la fede lassù, sul monte, senza dubbi, senza incoerenze, senza stanchezze? Invece è necessario scendere giù, nella pianura, il luogo in cui si decide il sì o il no all’«esci dalla tua terra» di Abramo, al «se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» di Gesù.
Ma che significa lasciare la propria terra e rinnegare se stesso? Vuol dire forse rinunciare a vivere in pienezza e gioia il dono della vita? No. San Paolo ci dà l’indicazione giusta per comprendere e per superare la deleteria convinzione che la fede cristiana mortifichi la gioia di vivere. L’apostolo chiede al suo discepolo Timoteo – e a tutti noi -: «Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo». “Soffrire per il vangelo” non significa privarsi di un bene, ma impegnarsi a conquistarlo. L’atleta che si allena, lo studente che si applica, il tecnico che si perfeziona… si privano di una ricchezza? No. Faticano per acquistare, per crescere, per arrivare più in alto. Lasciare la nostra terra, la nostra parentela, la nostra casa, rinnegare noi stessi, prendere la propria croce e seguirlo significa lasciare pigrizie, stanchezze, incoerenze, per crescere in carità, in dialogo, in ascolto, in misericordia, in verità, in pace.
Questo percorso è difficile. Lo è stato per Gesù. Lo è stato per i Dodici. Lo è per tutti. Per coloro, però, che nonostante le difficoltà, decidono di andare ugualmente con Gesù a Gerusalemme il Padre non fa mancare il momento della Trasfigurazione: il lampo di luce che ricarica di rinnovata energia nel seguire il Figlio “amato”, con la certezza di essere “figli amati” con lui.
Fonte:https://www.paoline.it/
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