FERNAND SANCHEZ MEDITAZIONE IV Domenica di Quaresima – Laetare

MEDITAZIONE IV Domenica di Quaresima – Laetare – Anno A

Parlare di guarigione significa anche parlare di quanto nell’uomo deve essere guarito. Noi siamo infatti sempre messi di fronte alla sofferenza e siamo sempre sorpresi dallo scandalo della malattia e della morte. Ci sentiamo sconfitti e oscilliamo fra la disperazione, la rassegnazione, la ribellione e il sacrificio. Dal fondo della nostra sofferenza e della paura che le si accompagnano sale il nostro lamento, muto o espresso, mentre aspettiamo un buon Samaritano che si chini finalmente sulla nostra miseria per liberarci. Nella visione cristiana, il male e la morte non sono né una fatalità biologica, né un caso, né un’opera di Dio, ma sono conseguenze della volontà prometeica dell’uomo di affrancarsi da Dio. La prima conseguenza è che l’uomo perde la chiara visione di Dio, alla cui immagine è stato creato, ed è così separato dalla sua sorgente di vita. L’uomo deve allora cercare la mano di Dio come un cieco cerca una mano che lo soccorra; senza l’intervento della misericordia di Dio, che gli si rivela in un primo momento nell’Alleanza della legge, poi nell’Alleanza d’amore dell’incarnazione del Figlio, l’uomo va verso la propria rovina. Così, progressivamente, il Padre si mostra all’uomo perché l’uomo si scopra figlio. La seconda conseguenza è che l’uomo non domina più, nell’amore, la creazione. Ciò che lo circonda gli diventa ostile; l’uomo scopre l’aggressione essenziale, la relazione di non amore con tutte le sue ferite: rifiuto, frustrazione, disprezzo, ingratitudine, che sono tutte fonti di dolore, di disperazione e di malattia. Creato per vivere nell’armonia, nella pienezza di una relazione d’amore con il Creatore e con la creazione, l’uomo soffre di non poter amare ed essere amato. È lacerato dal conflitto generatosi in lui in seguito a queste rotture. L’uomo vuole la vita e la scopre nella sofferenza perché non è amato gratuitamente come invece si attenderebbe, perché le sue paure gli impediscono di lasciarsi amare con fiducia e di amare nel dono e nell’abbandono. Così, è nella sofferenza che si situa spesso il punto d’incontro dell’uomo con Dio. Dio assume su di sé, nel Figlio, tutta la sofferenza dell’uomo, accetta che “l’Amore non sia amato”. È per mezzo delle sue sofferenze che noi siamo salvati e riconciliati con Dio. Io posso credere nell’amore di Dio per me personalmente; non si tratta soltanto di parole; egli me ne dà qui una prova ultima e definitiva. Gesù Cristo mi guarisce e mi salva restituendomi alla mia finalità: vivere nell’amore. Mi guarisce e mi salva dando un senso a tutte le mie sofferenze. Mi guarisce e mi salva liberandomi dal male e dalla morte. Noi scopriamo infatti che: – Essere malati e soffrire sono due condizioni diverse: anche se la sofferenza è spesso conseguenza della malattia, non succede sempre così. Io posso essere malato e non soffrire,

oppure posso soffrire della malattia di un altro, di un mio caro, per esempio. La malattia e il dolore sono legati al male e noi, seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo impegnarci in una lotta senza tregua contro di essi, chiedendo la guarigione dei nostri malati. La sofferenza è legata alla nostra capacità d’amare. Non bisogna ingannarci nella lotta: la volontà di abolire la sofferenza può passare attraverso l’indifferenza, veleno mortale delle nostre società. – Guarire e soffrire non sono due stati fra loro opposti: io guarisco quando scopro che la mia sofferenza, se guardata in modo nuovo, può avere un senso e che posso ricavare da essa dei frutti. Che cos’è allora la vera guarigione per l’uomo? La guarigione non è uno stato statico che si oppone alla malattia, così come lo stato di salute si oppone allo stato di malattia. È forse meglio parlare, più che di “guarigione”, di “guarire”: il verbo sottolinea meglio che si tratta di un processo dinamico in cui si entra e che è chiamato a proseguire sempre più profondamente, a svilupparsi durante tutta la nostra vita, in tutto il nostro essere: corpo, anima e spirito. Guarire da una malattia non è semplicemente ritrovare lo stato di salute che precedeva il cadere malati. È anche integrare tutto ciò che è stato vissuto come una ricchezza nuova che fa sì che l’uomo ne esca trasformato. Egli “non vivrà mai più come prima”. Guarire è ritrovare un’armonia che permette all’uomo di adattarsi nuovamente, cioè di vivere, di vivere in pace con se stesso, con gli altri e con Dio. E ciò attraverso tutti gli avvenimenti positivi o negativi della sua storia. Guarire è dunque riconciliarsi con quello che si è e questo fa sì che la vita presente sia come il risultato di un passato che si assume, insieme, come il punto di partenza verso un avvenire da costruire in funzione dell’essere “figli”. Guarire è dunque riscoprire il senso della propria esistenza, cosa che fa relativizzare molti avvenimenti. Quante angosce per il futuro cadono davanti a una tale presa di coscienza! La coerenza e l’unità dell’uomo, corpo, anima e spirito, fanno sì che i diversi piani interagiscano fra loro, sia nel senso delle ferite, sia in quello delle guarigioni. Così il corpo non può guarire senza che l’anima e lo spirito non siano anch’essi toccati da questo cambiamento. E, viceversa, ogni volta che la nostra vita spirituale si espande, la nostra psiche e il nostro corpo ne saranno beneficati e, anzi, come spesso accade, essi saranno i testimoni esteriori del cambiamento che si è operato nell’intimo. Come non esiste guarigione di una parte isolata senza che sia coinvolto tutto il nostro essere, così non esiste guarigione di un uomo solo, separato dal Corpo di Cristo. L’uomo non può guarire senza Dio, la sua guarigione ha senso solo in lui. È Dio che mi tocca personalmente poiché io conto ai suoi occhi come persona. Egli mi ama e me lo dimostra in modo tangibile. “Un povero grida e Dio lo ascolta”. Dio mi rivela che il Regno è già in mezzo a noi: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi

camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5). I segni che l’accompagnano mostrano l’efficacia della parola. La sua parola è amore e produce frutti d’amore: guarisce poiché si oppone alle opere del male che sono l’odio, la divisione, la condanna e i cui frutti sono la malattia e la morte. Questa parola è vera ancor oggi; tocca il mio cuore, mi riconcilia, mi pacifica, mi libera, mi converte, mi guarisce e mi salva. Dio non può guarire l’uomo senza il concorso dell’uomo stesso: – senza il suo desiderio di guarire, di lasciarsi trasformare; – senza il suo rifiuto dei “benefici” affettivi o sociali che egli potrebbe ricavare dalla propria malattia; – senza la sua accettazione di una vulnerabilità più grande poiché, con la conversione all’amore, l’uomo rinuncia ad utilizzare alcuni mezzi di difesa. Dio vuole guarire l’uomo per mezzo del suo Corpo, la Chiesa: – grazie alla mediazione dei fratelli. Questa tradizione risale alle origini stesse della Chiesa. I membri della prima comunità monastica di Alessandria si chiamavano “terapeuti”, che significa etimologicamente “servitori di chi supplica”. Il fatto che questo termine abbia assunto il significato di guaritore, mostra che esiste un legame stretto fra intercessione e guarigione, come si dice in Siracide: “Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani [dei medici]. Anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita” (Sir 38,13-14); – attraverso i sacramenti, segni efficaci dell’amore di Gesù Cristo che vive nella sua Chiesa. Dio guarisce il suo Corpo mediante la guarigione delle membra di questo Corpo, poiché ciascuno di quelli che egli guarisce diventa suo testimone. Testimoniare la misericordia di Dio nella nostra vita significa edificare il Corpo. “La guarigione è una forma di creazione” (Mons. Coffy) di colui che la riceve e, attraverso lui, di tutti.

FERNAND SANCHEZ


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